“Brescia 1945”: un epico racconto della resistenza e della liberazione in città nel saggio di Maria Paola Pasini
Recensione di Francesca Scotti per Brescia si legge
Il fumo nero che si leva dalle macerie accumulate dai bombardamenti, l’angoscia e il dolore di una città oppressa dal nazifascismo, le infinite code per il pane e i fischi delle pallottole, il fragore di concitati giorni di resistenza e di liberazione. Questo e molto altro ancora si può respirare, sentire e vedere leggendo “Brescia 1945” della giornalista e docente Maria Paola Pasini, meritevole lavoro di ricerca storica edito da Grafo Edizioni nel 2015.
Arricchito da fotografie d’archivio e introdotto dal docente Mario Taccolini e dal giornalista Massimo Tedeschi, il libro racconta il cruciale anno 1945 a Brescia partendo dai bombardamenti alleati che già dal 1944 danneggiano la città, passando attraverso un epico resoconto dei giorni della liberazione e sviscerando infine problematiche e sfumature dell’immediato dopoguerra. Con una scrittura precisa, scorrevole e coinvolgente, l’autrice inanella fatti e testimonianze, soffiando via la polvere del tempo da volti e da vicende che è doveroso non dimenticare.
Un libro forte come il boato della storia, ispirante quanto il coraggio dei bresciani e delle bresciane che hanno sofferto e lottato durante anni marchiati dalla violenza, dalla dittatura e dalla guerra. Un testo che annulla le barriere temporali riportando in vita il passato tramite una meticolosa ricostruzione storica e la riscoperta di figure di uomini e di donne che oggi si impongono come lucenti esempi di vita temprata e mai vinta.
Una città in ginocchio
Bombe che fioccano dal cielo come caramelle. Un susseguirsi di allarmi, di paura, di angoscia. Morti, feriti, case distrutte. Gli oggetti della propria vita sbriciolati, il fumo, le macerie. […] La guerra è fatta di sangue, di carne bruciata, di odori forti, di disperazione, di malvagità.
Maria Paola Pasini, “Brescia 1945”, p. 21
I primi capitoli di “Brescia 1945” sono sufficienti ad attivare la macchina del tempo e a catapultare i lettori in una Brescia irriconoscibile, ingombra di detriti e di cenere, con le facciate delle belle chiese sfregiate e file su file di case scoperchiate e abbattute. È una città violentata e sfigurata da tredici bombardamenti attuati tra il febbraio del 1944 e l’aprile del 1945, quella in cui si snoda il filo della memoria.
L’autrice dà spazio all’inestimabile voce dei testimoni dell’epoca riportando stralci di testimonianze che inframmezzano efficacemente la ricostruzione dei fatti. Tra le righe, come squarci sull’orrore, si aprono immagini in bianco e nero, spesso grandi quanto l’intera pagina, che conferiscono piena drammaticità alle tematiche trattate, offrendo un crudo e doloroso, ma necessario, contatto con il passato.
Particolarmente sconcertante ed emblematica è la fotografia in cui il fuoco lambisce la cupola del duomo nuovo, colpita nel massiccio bombardamento del 13 luglio 1944, il giorno più tragico del Novecento bresciano.
La città agonizza, atterrata, e la pace sembra infinitamente lontana.
«Non vi sono liberatori, solo uomini che si liberano»
Almeno settanta persone persero la vita nelle convulse giornate della Liberazione. Vittime di battaglie disperate, di assalti furibondi, ultimi assurdi sussulti di un nemico in fuga o ormai alle corde.
Maria Paola Pasini, “Brescia 1945”, p. 39
Cadaveri da seppellire, sfollati, fame, freddo e terrore. È il macabro e straziante ritornello della guerra in una città fattasi spettrale ma nella quale, ciononostante, si fa sentire a gran voce un groviglio di resistenze: la lotta quotidiana della gente comune e la lotta armata delle brigate di resistenti operative in città anche grazie a un nutrito stuolo di collaboratori e di collaboratrici. Brescia si piega sotto la sferza della violenza, ma non si spezza.
Si giunge così alla primavera del 1945. I ragazzi e gli uomini che tra il 25 e il 27 aprile prendono parte all’insurrezione generale contro le truppe nazifasciste si sentono, senza sterile retorica, gli eredi di Tito Speri, il patriota bresciano che durante le Dieci Giornate di Brescia ha strenuamente guidato la difesa della città contro l’assalto dell’esercito austriaco, morendo in nome dei suoi ideali.
Il decisivo 26 aprile, giorno in cui i resistenti prendono il sopravvento sui repubblichini ancora asserragliati nei luoghi di comando e sui nazisti in ritirata ma ancora pronti a sparare, non è radioso come vorremmo immaginarcelo. Un cielo plumbeo e a tratti piovigginoso incombe su Brescia e sulle sue piaghe aperte, incupendo ulteriormente gli animi già provati dei bresciani. La liberazione giunge in una sorta di stupore attonito, per poi riversarsi in strada in fiumi di volti commossi, incontro alle camionette di resistenti che attraversano il centro sfilando lentamente in corso Zanardelli.
Teresio Olivelli, il cui contributo alla resistenza bresciana è stato ingente, afferma una grande verità quando, prima di morire assassinato in un lager nazista, ci lascia le seguenti parole: «Non vi sono liberatori, solo uomini che si liberano». Donne e uomini che si liberano, staffette e resistenti, civili, religiosi e religiose: la Leonessa d’Italia ha figli e figlie pronti a difendere i propri affetti e le proprie case. Per Brescia e per le altre città italiane è la fine di una lunga, estenuante notte.
Ritornare a cantare, nonostante tutto
Anche se l’Italia può finalmente avviarsi verso un futuro all’insegna della democrazia e dei valori repubblicani, nel caos del dopoguerra c’è infinitamente tanto da ricostruire, sia sul piano umano che su quello materiale. Molti sono i prigionieri, fra soldati e civili, non ancora rimpatriati. C’è il dramma dei dispersi e quello dei tanti, tanti morti. Le strade sono montagne di macerie, il cibo è tuttora razionato e alla chiusura delle armerie consegue la perdita di molti posti di lavoro.
Un altro aspetto preminente dei giorni che seguono la liberazione riguarda la salvaguardia del patrimonio artistico di Brescia. Innanzitutto, si assiste al ritorno in città di opere d’arte come la Vittoria alata, opportunamente trasferite e nascoste durante la guerra da silenziosi ed efficienti protettori della cultura. In secondo luogo, prendono avvio, nonostante le difficoltà economiche, il recupero e il restauro delle chiese, dei palazzi e dei molti edifici storici danneggiati dai bombardamenti.
L’autrice tratta con scrupolosità le diverse tematiche che caratterizzano il secondo dopoguerra a Brescia, elaborando pagine ricche di testimonianze e di citazioni da fonti storiche autorevoli. Anche qui, oltre ai fatti, viene presentata una ricca carrellata di persone, le cui vite esemplari riaffiorano dalle acque del tempo tramite profili biografici e minuziosi, preziosissimi dettagli.
Il libro si chiude – o meglio, sfuma sulla scia di note musicali infarcite di speranza – con la traduzione italiana della celebre canzone “La vie en rose” di Edith Piaf. Uscito proprio nel 1945, il brano è un inno alla capacità degli esseri umani di non arrendersi alle atrocità e alla morte, un canto che appartiene a tutti coloro che, nonostante le ferite e le perdite accumulate, trovano la forza di credere nel futuro, di guardare avanti e di tornare a costruire, a inventare, a vivere.
Titolo: Brescia 1945
Autrice: Maria Paola Pasini
Editore: Grafo, 2015
Genere: Saggio
Pagine: 149
ISBN: 9788873859356
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