“Ci vuole un’altra vita”: un’onirica e tormentata storia d’amore nell’ultimo romanzo dello scrittore bresciano Nivangio Siovara
Letto e recensito da Francesca Cocchi per Brescia si legge
Assuefatti dalla routine, corriamo come treni lungo un binario nell’illusione sicura e spensierata di un totale controllo delle nostre vite. E così, zittiamo quella piccola parte di noi che evoca una via d’uscita, che «ci prelevi rapace e ci conduca altrove, al di là dell’abitudine, del destino segnato, di noi stessi».
Per Nasrin e Liv, questa folle corsa si è arrestata in una vecchia stazione ferroviaria dove, come passeggere rimaste bloccate tra un treno che non è mai arrivato e uno che non è mai ripartito, aspettano un’apparizione salvifica che le liberi dall’inerzia.
“Ci vuole un’altra vita” (Lamantica Edizioni, 2023), l’ultimo romanzo dello scrittore bresciano Nivangio Siovara, racconta l’onirica e tormentata storia d’amore di Nasrin e Liv, che insieme scavano alla ricerca delle ossa di un angelo decapitato e sognano di smarrirsi nel bosco.
Una relazione vissuta e sognata, a tratti macabra
A volte era davvero convinta che nulla della loro relazione fosse come se la raccontava, era troppo inverosimile: nulla le teneva insieme. Eppure restava, eppure si muoveva reagendo o addirittura compensando i movimenti dell’altra, e anche per Liv era così, no? Non era, quello, già di per sé un legame? C’era.
Nivangio Siovara, Ci vuole un’altra vita, p.81
Nasrin e Liv abitano in una vecchia stazione ferroviaria «odorosa di tetano e cantina», circondata da un terreno pieno di buche e di rottami oltre il quale si estende un fitto bosco. La vera natura della loro relazione non è chiara neppure agli amici più intimi, perché da anni tra le due non ci sono slanci d’affetto spontanei. L’unica attività che sembra ancora unirle è scavare sistematicamente, nei pochi giorni liberi in comune al mese, alla ricerca di ossa e cartilagini che hanno composto lo scheletro di un angelo decapitato, conservato nel loro salotto.
Come una bilancia con due piattini, la loro relazione è fatta di una continua ricerca del giusto equilibrio tra i torti dell’una e le regioni dell’altra. Nasrin, per spostarsi oltre la porta di casa, si affida alla guida di un moncone di binario «così come ci si abbandona a un’entità superiore che traghetta al sicuro attraverso la tempesta scatenata dalle nostre azioni, e a causa della quale possiamo naufragare senza colpa». Liv, invece, tornando dal lavoro continua a girare intorno alla casa, «scavando un fossato, isolato dopo isolato» per acclimatarsi nuovamente alla vita insieme a Nasrin. E mentre Liv ricerca il contatto fisico, Nasrin si sente completa nella solitudine e, arroccata nel dolore e nel dispiacere, reprime l’istinto di respingerla perché sa che amare comporta abbracciare la persona amata.
L’amore che si alimenta del dolore è comunque amore?
Sì, fa parte della recita. Dunque, è necessario. È odioso che tutto debba essere necessario, nel copione. Che non si possa proprio mai mai mai improvvisare.
Nivangio Siovara, Ci vuole un’altra vita, p.89
L’amore conta.
Ma conta soprattutto il dolore.
Infine, è per quello che si corre, all’improvviso, no?
Che si lotta.
I loro cani, Virgola, Diesis e Scarabocchio, il vecchio vicino di casa e il veterinario nel cui ambulatorio è iniziata la loro storia d’amore osservano il crescere della tensione nel rapporto sempre più tormentato tra Nasrin e Liv, perché «l’amore conta, ma conta soprattutto il dolore».
Per loro amare significa scavare per trovare il teschio di un angelo e sfondare il muro del dolore per uscire dall’oscurità. Amare significa anche avanzare insieme nel bosco in un sogno comune che nel romanzo si intreccia alla vita di tutti i giorni in capitoli che prendono il nome di colori.
Nasrin e Liv si addentrano nel fitto della boscaglia dove incontrano i capruomini, irsute creature dal volto grigiastro e quasi umano con corna sgraziate e un diabolico fetore, e un grosso cervo bianco che le invita, ancora una volta, a scavare insieme.
Una penna dallo stile enigmatico e introspettivo
Nivangio Siovara è uno pseudonimo dietro al quale si nasconde un autore che nella sua biografia afferma di dedicarsi alla «continua produzione di oscuri scritti», come i romanzi “L’onestà del Moloch” (2017), “In albis” (2018) e “Finché nulla ci separi” (2022) e la raccolta di racconti “Di Vento” (2019), tutti pubblicati per Prospero Editore.
In “Ci vuole un’altra vita”, Siovara adotta una prosa articolata caratterizzata da lunghi periodi ipotattici che contribuiscono a rendere oscuro anche questo suo scritto. Un narratore in terza persona guida il lettore nei pensieri e nei sogni di Nasrin e Liv, tra capitoli numerati e capitoli con nomi di colori in cui si intrecciano la quotidianità reale di Nasrin e Liv e il mondo onirico dei loro sogni. I dialoghi tra le due protagoniste assumono la forma di battute teatrali che Nasrin e Liv sembrano pronunciare seguendo il copione prestabilito della loro vita.
Titolo: Ci vuole un’altra vita
Autore: Nivangio Siovara
Editore: Lamantica Edizioni, 2023
Genere: Narrativa
Pagine: 214
Incontrarci non è stato facile, ora non perdiamoci di vista! Iscriviti alla nostra newsletter per essere aggiornato su ciò che accade sulla “scena letteraria bresciana”