La città come non l’abbiamo vista. Covid-19 a Brescia nel fotoreportage di Nicola Zambelli
Andrea Franzoni per www.BresciaSiLegge.it
Mentre la città vacillava sotto i colpi del Coronavirus, mentre chi poteva si rinchiudeva tra le quattro mura provando (spesso senza successo) a pensare ad altro o limitava gli spostamenti allo stretto indispensabile, il fotoreporter Nicola Zambelli ha continuato a solcare le strade deserte di Brescia seguendo la sua missione: raccontare la realtà attraverso il suo obiettivo fotografico, immortalando istanti ed emozioni così da potenziare ed estendere nel tempo e nello spazio lo sguardo di tutte e tutti.
Ne è venuto fuori un progetto fotografico e narrativo molto potente, intitolato “what makes us weaker makes us closer” (ciò che ci rende fragili ci rende vicini), che possiamo ammirare sul sito del fotoreporter che ha gentilmente concesso anche a Bresciasilegge l’utilizzo degli scatti che vedete pubblicati in questo pezzo.
Riusciremo anche a piangere i nostri morti
Credo sia stata la necessità di vedere che in queste settimane mi ha spinto a prendere in mano la macchina fotografica e provare testimoniare qualcosa, quello che potevo; impossibile provare a farlo attraverso l’audiovisivo (linguaggio a cui mi sono maggiormente addestrato negli ultimi anni), soprattutto quando tutto diventa trasparente come una città vuota, o impenetrabile come un ospedale al centro di un dramma planetario. Era necessario fare a pezzi la complessità del mondo in una serie di istanti per provare a comprendere, mettendo tra me ed i miei occhi lo sguardo protettivo di una lente. Non è stato affatto semplice, né immediato. Non lo è tutt’ora: ancora adesso mi chiedo se abbia avuto senso, se ne ha o ne avrà nel tempo a venire. So solamente che non dimenticherò mai ciò che ho provato nel vedere sfilare davanti ai miei occhi le bare davanti al tempio crematorio, con una fila di carri funebri che non si esauriva.
Nicola Zambelli, Riusciremo anche a piangere i nostri morti
Parte della forza del progetto è dovuta al fatto che la tragedia che il fotoreporter stava raccontando stava accadendo proprio nei suoi luoghi, nella sua “casa”, nella sua comunità.
Forse per questo, Nicola Zambelli non si è limitato a raccontare il dolore e la morte ma ha anzi preferito, per quanto possibile spostare lo sguardo sugli esempi di resistenza.
Le dimensioni della comunità
E’ bello iniziare a vederla, la dimensione della solidarietà: se provi a misurarla passo dopo passo inizi a scorgere – in trasparenza dentro un dramma che si allarga lentamente, in parallelo al proseguo della quarantena – anche le proporzioni fisiche della comunità. Una comunità ferita per la quale c’è un altra comunità che si mobilita. Ed è là che di solito poi trovi l’essere umano.
Nicola Zambelli, Le dimensioni della comunità
Quello che Nicola Zambelli ha costruito, uscita dopo uscita, fotogramma dopo fotogramma, è infatti un reportage che alterna i vuoti delle strade, le distanze sancite da maschere e tute protettive, il gelo delle bare accatastate e dei necrologi che hanno affollato le pagine dei giornali, al calore delle mani tese a consegnare provviste, a sorreggere, a confezionare pasti per i più fragili in occasione del 25 Aprile o della Pasqua.
Un reportage fatto non di numeri ma di volti e di storie di resistenza: storie come quelle degli operatori della Croce Rossa, dei volontari che hanno consegnato i pasti, degli addetti alle pompe funebri schiacciati da un carico di “lavoro” impensabile. E degli operatori sanitari, ovviamente.
La memoria nella città
Sapremo indignarci la prossima volta, quando i nostri eroi ci chiederanno di difenderli da tagli sconsiderati e privatizzazioni, investimenti mal versati e tangenti? Perchè la prossima volta che una catastrofe dovesse accadere, non avremo bisogno di eroi ma di persone che svolgono il loro lavoro, in numero sufficiente e protetti da equipaggiamento adeguato. Dietro la retorica dell’eroismo c’è molto spesso una sconsiderata visione della realtà, il tentativo di sottrarre e nascondere qualcosa. Un po’ come in epoca medioevale quando la parola di Dio era pronunciata in latino in modo tale che il popolo non potesse accedere ai misteri della trascendenza.
Nicola Zambelli, Il popolo che ha bisogno di eroi
Se questo reportage ha avuto senz’altro un ruolo nell’istante in cui veniva prodotto e condiviso, mostrando ai bresciani la loro città incredibilmente vuota (in collaborazione con organi di informazione quali Radio Onda d’Urto, Qui Brescia e InPrimis), è senz’altro indubbio che esso acquisisce forse ancora più importanza oggi che è chiamato a fornire un ancoraggio alla memoria di noi tutti.
Noi che (per fortuna) non abbiamo dovuto vedere fino in fondo, ma che non per questo siamo esenti dal dovere di ricordare la sensazione di caducità che abbiamo vissuto in quei momenti, la gratitudine che abbiamo provato nei confronti di chi ha continuato a lottare per conto di noi tutti, e l’amarezza di fronte alle conseguenze di scelte politiche e culturali poco lungimiranti che ci hanno forse reso più fragili di fronte a questa specie di flagello da Antico Testamento che si è abbattuto tra le strade della nostra provincia.
Cambiandoci, chissà se in meglio.