“Dal municipio alla patria”: le lotte politiche che portarono alla fine della dominazione veneta su Brescia nel ricco saggio di Carlo Bazzani edito da Franco Angeli

Il corposo saggio “Dal municipio alla patria italiana. Lotte e culture politiche a Brescia (1792-1802)” – edito da Franco Angeli – è frutto di una profonda rielaborazione, durata alcuni anni, della tesi di dottorato dell’autore, Carlo Bazzani. 

Il periodo analizzato decorre dal 1792 – anno in cui con la presa del palazzo delle Tuileries da parte dei sanculotti e giacobini si assiste alla caduta della monarchia ed all’avvio della fase repubblicana della rivoluzione francese – al 1802, data in cui si proclama ufficialmente la Repubblica italiana.  Il lavoro riporta le numerosissime fonti d’archivio consultate, che vanno da Parigi a Londra, dalla Città del Vaticano a Vienna, senza ovviamente trascurare quelle più prossime degli Archivi di Stato e diocesani. 

Gli attori che si affacciano sul palcoscenico della storia sono molteplici: veneziani, austriaci, francesi, l’aristocrazia bresciana e il popolo delle valli, ognuno dei quali portatore di precisi interessi del tutto contrapposti. 

Grazie a un minuzioso spoglio archivistico, che ha tenuto conto di documentazione pubblica e privata, si è ricostruito il dissenso nei confronti della Repubblica di Venezia, mettendo in luce le vite parallele di uomini che si ritrovarono in un crocevia generazionale in ebollizione. Costoro, oltre a volere indipendenza e libertà dai propri genitori, reclamavano dignità pubblica, che lo Stato veneziano – avvertito come un corpo estraneo – non era in grado di assicurare. Così, i clan familiari, che prepotentemente volevano sostituirsi al governo della Serenissima, preoccupandosi soprattutto di arricchire il proprio patrimonio; così gli esclusi e i dimenticati, vale a dire chi, pur ritenendosi degno, non veniva riconosciuto per i suoi meriti, affogando nell’abisso dell’anonimato. Figure alquanto diverse, ma che si sentivano accomunate dalla volontà di scardinare il giogo di potere, affrancandosi dal leone marciano e da quella classe dirigente locale che non finiva di dimostrare tutta la sua pavidità.

Carlo Bazzani, op. cit., pag. 15

Ma andiamo con ordine, e vediamo in che misura i bresciani hanno partecipato all’avvio della costruzione di uno Stato unitario.

La temperie del momento storico studiato è rappresentata dalla breve vita di un circolo, detto il “Casino dei buoni amici”, aperto vicino al Teatro Grande. I locali erano aperti alcune ore al giorno e la principale attività che vi si svolgeva era la lettura dei giornali, anche provenienti d’oltralpe. I giovani che ne facevano parte erano tutti più o meno animati da uno spirito antiveneziano e accomunati da un forte desiderio d’indipendenza dai genitori. Peraltro, il ruolo del pater familias era uno dei capisaldi su cui si incardinava l’autorità tradizionale e porlo in discussione appariva come un complotto teso a minare l’equilibrio sociale della Repubblica di Venezia. 

Il circolo ebbe breve vita, ma il comportamento dei suoi componenti è sintomatico  dell’atteggiamento della città rispetto alle nuove istanze rivoluzionarie ed al pensiero democratico: le indagini dell’inquisizione portarono alla chiusura del circolo ma solo sulla scorta di dicerie, sospetti, nulla di concretamente sovversivo. I nobili che ne facevano parte mai intesero rinunciare ai privilegi nobiliari e vedremo, nel prosieguo del racconto, che l’intento era anzi quello di acquisire maggiori poteri rispetto a quelli che la Serenissima concedeva loro; la pubblica opinione venne comunque scossa dalla ribellione generazionale che scardinava le regole precise ed il rispetto di tradizioni fin ad allora ritenute immutabili.

Nel declinare del XVIII secolo, Brescia cospira. Parte dei notabili intendono liberarsi dal giogo veneziano per dichiararsi indipendenti. Nell’Osteria del Gambero, davanti al Teatro Grande, e alla Bottega di Caffè fervono le discussioni, si redigono dettagliati piani segreti ed i documenti sono analiticamente riportati nel testo in esame. I reali obiettivi dei bresciani consistevano nello scioglimento del legame con Venezia per instaurare uno Stato autonomo. E questo avvenne il 18 marzo 1797, data in cui fu proclamata la Repubblica Bresciana: una repubblica senza democrazia, la cui classe dirigente si autoproclama in sostituzione di quella veneziana. Giuseppe Lechi è uno tra i principali organizzatori, supportato da un ridotto numero di personaggi affatto propensi a cedere ai cittadini le redini del governo. La Repubblica avrà una vita breve, fino al mese di novembre del 1797: se l’interpretazione tradizionale la presenta come l’encomiastico atto di restituzione della libertà al popolo, l’autore, rifacendosi anche ad uno studio di Arsenio Frugoni (“Breve storia della Repubblica bresciana”, Vannini, 1947) riscontra che nella nuova istituzione manca la separazione dei poteri così come una dimensione costituzionale, e che il governo rifiuta energicamente di sottostare a regole democratiche. La nuova classe dirigente presenta dunque una proposta politica fondata sui concetti di identità e appartenenza derivati dall’antico regime, che riprende tutta la sua centralità.  

Le idee rivoluzionarie che arrivano dalla Francia scompigliano il territorio: i conventi sono convertiti in ospedali per i feriti, il passaggio delle truppe rovina i campi coltivati ed i francesi sono visti dal popolo come invasori. Parallelamente, si moltiplicano prodigi miracolosi: Vergini che piangono, fenomeni inspiegabili che hanno lo scopo di rinsaldare il secolare legame del popolo con la fede. Attentare alla religione equivale a scardinare le fondamenta di una società basata sulla fede. 

L’autore ripercorre accuratamente le vicende della Repubblica bresciana, ma evidenzia come l’idea di fondo è che la classe dirigente bresciana sia del tutto disinteressata alle grandi conquiste democratiche, al riconoscimento dei diritti dell’uomo e del cittadino: conquistato il potere, questo viene circoscritto a determinate personalità e nuclei familiari, secondo una logica conservativa e protezionistica. Il nuovo governo è così formato da famiglie storiche, come i Lechi o i Fenaroli, e nuclei nuovi, a cui Venezia aveva per secoli precluso ogni accesso alle cariche governative.

Venendo aboliti i titoli nobiliari e le distinzioni cetuali, si generò un’immediata mobilità sociale che andò a interessare chi, nell’immediato giurò fedeltà al nuovo ordine. Se invano cercheremmo uomini di governo provenienti dal basso popolo, spicca la presenza di avvocati e medici, professioni che, specialmente i primi, si sarebbero imposti durante l’epoca napoleonica e in concomitanza della Restaurazione.

Carlo Bazzani, op. cit., pag. 161

Tutto è pace e felicità? Affatto: la sponda bresciana del Lago di Garda, la Val Sabbia e la Val Trompia rimpiangono il passato, le secolari specificità e concessioni loro accordate dalla Dominante ed ora rimesse in discussione dal nuovo governo. Secoli di privilegi, di esenzioni fiscali, di statuti locali riconosciuti da Venezia portano a non riconoscere il governo cittadino ed a contestarlo, insorgendo. I moti di ribellione vengono infine sedati dalle truppe francesi, che devastano i territori e passano per le armi i rivoltosi.

L’autore si sofferma altresì sul fatto che la guerra civile non interessò soltanto le valli e il lago di Garda, poiché molti centri delle pianure furono coinvolti in scontri violenti che frequentemente portarono a veri e propri massacri.

A parere di chi scrive, molto interessanti sono le pagine dedicate dall’autore al riconoscimento del ruolo delle donne nella nuova società. Voci dell’epoca, analiticamente riportare nel testo, si levano per far emergere l’importanza sociale della donna, depositaria dei valori educativi su cui forgiare i fanciulli. A loro deve essere riconosciuto “pari criterio, ingegno, giudizio e fantasia”. Si individua nell’educazione impartita il vulnus della condizione femminile, e si sottolinea come sia necessaria una rivoluzione dei costumi in cui venga coltivata la cultura della mente e dello spirito.

Il tutto era teso a far comprendere il destino di ogni donna, ossia diventar spose e madri; non da rinchiudere entro quattro mura, ma come parte attiva e determinante del corpo sociale, coinvolgendole nelle grandi conversazioni, nel teatro ed alli pubblici spettacoli.

Carlo Bazzani, op. cit , pag. 203

L’autore racconta, con numerosi riferimenti documentali, la fine dell’esperienza della piccola patria bresciana, i cui governanti tentano tenacemente di difenderne l’indipendenza ed il mantenimento delle leggi locali; il governo cisalpino giudica però che le istanze siano incompatibili con gli interessi della Repubblica. Il Trattato firmato a Campoformio riconosce la Repubblica cisalpina – che comprende anche il territorio bresciano – come potenza indipendente.

Erano le prime tracce di un’adesione non tanto ad un sistema di valori, quanto a una figura, il futuro Imperatore, che avrebbe caratterizzato l’operato del gruppo di potere bresciano. Non è un caso che questi uomini, e segnatamente coloro che nell’estate del 1797 vennero ricevuti dal comandante dell’Armée per porre le basi dell’unione alla Repubblica cisalpina, furono nominati nel Gran Consiglio e nel Consiglio degli Anziani, gli organi deliberativi dello Stato, a significare il rapporto di fiducia che si era instaurato, una sorta di ricompensa per aver accettato e subito la decisione. Il loro acume politico e l’istinto di sopravvivenza li spinse ad ammainare lo stendardo dell’indipendenza territoriale, pur senza mai rinunciare a battersi per la propria città e per riservare a essa spazi di autonomia.

Carlo Bazzani, op. cit., pag. 225

Le ultime cento pagine del volume sono dedicate al periodo che intercorre tra il 1797 ed il 1802. 

Si tratta di un periodo burrascoso, in cui l’idillio con la Francia vede inesorabile il tracollo. Cospirazioni, colpi di Stato, arresti, continue ingerenze francesi negli affari cisalpini sono esaustivamente raccontati dall’autore sempre con il supporto di un corposo studio delle fonti archivistiche.

Ora, dopo un decennio di lotte, si riesce ad avere un quadro più nitido della parabola culturale e politica di questi uomini. Un percorso, il loro, che può essere una chiave di lettura per comprendere il lento e complesso passaggio tra l’antico regime e la modernità. Chiusi entro i ristretti confini del Bresciano, si erano organizzati con l’intento di riappropriarsi del proprio destino e inseguire le proprie inclinazioni e gli interessi di parte, secondo un opportunismo che, in realtà, non sarebbe mai scomparso. Pur tuttavia, fu il confronto con le forze esterne, con la Francia e la Cisalpina, a segnare la vera svolta, traghettando questo gruppo verso la “patria italiana”….. Con la proclamazione ufficiale della Repubblica italiana, il 9 febbraio 1802, quell’élite che ormai si era definitivamente formata poteva proseguire la sua missione. E’ vero, entro tre anni si sarebbe assistito alla nascita del Regno d’Italia, ma quegli stessi bresciani che abbiamo imparato a conoscere si fecero trovare pronti anche in quell’occasione.

Carlo Bazzani, op. cit., pag. 350

Infine, l’appendice documentaria con cui il volume si conclude, riporta il testo di molti documenti citati nel racconto: piani cospirativi, elenchi di congiurati, la Carta dell’organizzazione del governo provvisorio della Repubblica bresciana, i testi delle leggi organiche approvate e tanto altro ancora, arricchiscono con la viva voce degli attori di allora un brano davvero coinvolgente della storia della nostra Città.


Titolo: Dal municipio alla patria italiana. Lotte e culture politiche a Brescia (1792-1802)
Autore: Carlo Bazzani
Editore: Franco Angeli, 2024

Genere: Saggio
Pagine: 350
ISBN: 9788835160953

Candida Bertoli

È laureata in Giurisprudenza e dottore di ricerca in diritto amministrativo comparato: la tesi di dottorato, sulla protezione dei beni culturali, è depositata all’Unesco, a Parigi. Adora leggere fin da quando era bambina e le sue passioni sono l’arte e la storia. Per anni ha gestito i volontari del FAI sia a livello cittadino che regionale e ama raccontare Brescia. La sua casa è piena di libri, in ogni spazio possibile e di ogni genere. Partecipa al Festival della Letteratura di Mantova da sempre, e nel 2019 le è stato conferito il premio di “Massimo esperto della storia del Festival”

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