‘Diserzioni’: scomparire alla ricerca di un modo diverso di stare nel mondo nel nuovo romanzo di Carlo Simoni

“Sentivo la sua volontà di riprendersi la vita, di ridiventarne padrone togliendola dalle mani degli altri, cercando di fare in modo che la speranza di un riconoscimento – dalla semplice approvazione all’ammirazione dichiarata – da parte loro cessasse di essere la bussola delle proprie scelte…”

Disertare, scomparire, chi può dire di non averci mai pensato? Tirarsi fuori dal gioco, un gioco non più a nostra misura, che ci stritola, che fa di noi altro da ciò che sentiamo di essere. Non riconoscersi più nell’immagine di noi proiettata dallo sguardo dell’altro.

“Diserzioni”, il nuovo romanzo di Carlo Simoni edito da Castelvecchi, parla proprio di questo: di tre esistenze che si intrecciano nel tentativo di allontanarsi per riprendere il filo della propria vita, per smettere di disperdere energie in progetti non fecondi che allontanano da sé, per disseppellire, in solitudine, desideri autentici. Consapevoli, come scrisse Calvino, che “bisogna distanziarsi senza per questo abbandonare la lotta”.

Non lo sapevamo ancora che uno può non esserci anche se è lì dove sono gli altri. La moglie, i figli. Nella stessa casa. Era scomparso, nostro padre, anche se c’era: non si poteva dire in altro modo. Era scomparso anche se, come mai era accaduto in passato, ci restava vicino, ogni giorno. (…) Non è vero che una persona c’è o non c’è. Si può essere assenti in molti modi, a gradi diversi (…) Non è che prima lui ci fosse tanto, a dir la verità. Ci si alzava e lui era già uscito…

Davide, architetto affermato, un uomo che si è sempre sottratto alle relazioni familiari per realizzarsi nella carriera, un uomo – come molti – schiacciato dal dover essere, si sfila silenziosamente dal suo studio professionale, senza clamore, senza dichiarazioni e si zittisce in famiglia.

È dopo un incidente banale che Davide incontra Cesare, libraio e accanito lettore, a sua volta scomparso nel desiderio di non essere nessuno. Conduce una vita ritirata, impegnato a inseguire le tracce dello zio Luigi leggendone i diari. Luigi, il terzo scomparso, rifugiato molti anni prima in un paesino dell’Appennino dove vive una vita semplice, fatta di relazioni essenziali, di camminate nella faggeta e di scrittura. Lì Luigi, grazie all’amicizia con un professore, aveva infatti cominciato a scrivere.

Tre scomparse collegate, con alla base tre decisioni motivate da una tensione simile: non dalla semplice volontà di sfuggire alla propria solitudine, né stare a compiacersene o a compiangersi, ma dalla scelta di non avere paura della propria solitudine e anzi di riconoscerla come una condizione inevitabile e fruttuosa.

Disertare per “non mancare la propria vita”. Non per annullarsi ma per realizzarsi finché si è in tempo.

Le tre scomparse di uomini sono narrate dalla voce di una giovane donna, Lucia, che trascrive il diario del padre Davide, alla ricerca delle ragioni della sua scomparsa. Entra così in scena la scrittura, leggere e scrivere, protagonista fondamentale del nuovo libro di Carlo Simoni, già studioso della cultura materiale e pioniere dell’archeologia industriale ma anche direttore editoriale e romanziere con all’attivo decine di pubblicazioni, una vita dedicata alla ricerca e alle parole.

Davide infatti tiene un diario, mentre Cesare legge i fogli scritti da Luigi.

“Non avevo mai pensato che leggere non mi bastasse” – racconta quest’ultimo – “e non avvenne che lo pensassi neanche quando sentii il desiderio di scrivere anch’io un libro. Mi parve il modo naturale di proseguire la lettura, un modo di proseguirla con altri mezzi, nella sostanza: ho sentito, da un certo momento, che volevo scrivere quello che avrei amato leggere”.

Luigi scrive storie di animali e, impercettibilmente, inconsapevolmente, comincia a scrivere di sé, e la scrittura lo cambia.

…quando si scrive, quando si scrive davvero, di cose che stanno a cuore, quando si scrive perché lo si sente necessario, la scrittura cambia. La scrittura ma anche quello che si scrive: non solo il come ma anche il cosa. Si tirano fuori ricordi, pensieri che sarebbero rimasti sepolti se non si fosse presa la penna in mano…Scrivere non è solo mettere sul foglio le parole che si sarebbe potuto dire a voce. Scrivere è uno dei modi indispensabili per pensare, e per capire quel poco che soltanto pensando – in nessun altro modo, men che meno chiacchierando – ci è possibile capire.

Si scompare per scrivere o scrivere è l’occasione per scomparire, per nascondersi nelle parole e sottrarsi all’esistenza? Scrivere è forse rinunciare?

La risposta l’autore l’affida a Mattia, il professore.

Nel momento in cui ti renderai conto che le cose che scrivi non le scrivi perché danno qualcosa innanzitutto a te, qualcosa che se no non avresti, e che scrivere non ti aiuta a cambiare, a non restare ancorato a quel che credi di essere o vorresti essere, be’, allora smetti, non scrivere più. Ma fino a quel momento, fallo. Scrivi finché senti che è la cosa migliore che puoi fare, l’unica che ti riempie la vita, e le dà forma, regola; l’unica cui non rinunceresti perché non c’è felicità paragonabile, almeno per gente come me e te.

Luigi trova l’autorizzazione alla scrittura nell’amicizia con il professore, Davide è sostenuto nella sua scomparsa da quella di Cesare. Dunque il loro scrivere come il loro scomparire non sono sottrarsi alle relazioni ma cercarne di autentiche, di feconde.

È quella solitudine fruttuosa che la scrittura concede, quella lontananza che non è più, soltanto, la percezione di una distanza nello spazio, ma anche nel tempo e che può rivelarsi il tramite di una mai sperimentata vicinanza a noi stessi.

Non di un’autosegregazione, tuttavia, si tratta in realtà, ma di una scomparsa che contiene in sé anche l’altro perché si scrive anche per essere letti, perché non c’è gesto al mondo che non contempli la relazione con l’altro, addirittura con i personaggi che si mettono al mondo e che, alla fine, mettono al mondo chi scrive.

Il nuovo romanzo di Carlo Simoni, ricco di echi letterari, fa della scrittura un’interrogazione perenne, una ricerca di senso e il tentativo di salvare dall’oblio ciò che è stato. Ma è nella quasi quotidiana frequentazione della faggeta da parte di Luigi che si fa strada una diversa comprensione, che ben poco ha a che fare con il ragionare.

Il sole si stava facendo caldo. Mi sono ritirato sotto un boschetto di larici. In cielo s’erano formate delle grandi nuvole candide. Ho appoggiato la schiena a una pianta, e sono rimasto a guardarmi intorno, ad ascoltare il canto delle cicale, un tonfo nell’acqua della pozza, e un suono appena percettibile ma continuo, una sorta di fermento, che si alzava dl prato assolato. Nulla accadeva per me. Tutto sarebbe accaduto anche se non fossi stato lì. (…) Tra quei faggi, ho avuto ieri sera la sensazione di intuire un nesso profondo, un’identità sfuggente, segreta, tra il restare quel che si è e il mutare senza tregua, tra il costituire un’entità singola e l’essere parte di un insieme senza il quale quella stessa singolarità non avrebbe consistenza. Tre l’essere uno e l’essere molti. Tra il divenire e l’essere, alla fine. Un divenire nel quale di fatto consiste l’essere, un essere che è attraversato dal divenire, l’uno e l’altro indissolubili, distinguibili solo da chi si sente come un ramoscello caduto nel fiume e trascinato dalla sua corrente, solo da chi non sa rappresentarselo che come un fiume, il tempo, nemico dunque della vita, che ne è trascinata avanti travolta, subissata alla fine.

“Momenti di essere”, direbbe Virginia Woolf. “Chiari del bosco”, li chiama Maria Zambrano. Occasioni per rendersi conto che il tempo è il senso della vita, scrive Simoni.


Titolo: Diserzioni
Autore: Carlo Simoni
Editore: Castelvecchi, 2024

Genere: Narrativa
Pagine: 364
EAN: 9788868265496

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