“Il respiro del Gleno”: un nuovo giallo di Fabrizio Felappi per ricordare il centenario di una tragedia che merita di non essere dimenticata
Recensione di Federica Zaccaria per Brescia si legge
Siamo in Val di Scalve, valle tributaria occidentale della Val Camonica che si trova in provincia di Bergamo, e sono passati quasi 100 anni dal crollo della diga del Gleno. Un disastro, frutto dell’incuria e dell’incoscienza umana, che ha segnato non solo l’assetto topografico della valle e dei paesi colpiti, ma anche l’animo di intere famiglie. E’ in questo contesto, tra quelle montagne che ancora portano il segno di una catastrofe (di cui a dicembre 2023 si ricorderà il centenario), che si muove il poliziotto nato dalla penna di Fabrizio Felappi: ne “Il respiro del Gleno. Un giallo lombardo” (etabeta, 2022 – acquista qui), Angelo Saronno è suo malgrado coinvolto in un’indagine per far luce su avvenimenti nascosti fra le pieghe del tempo.
Doveroso un chiarimento per chi non ha letto i precedenti libri di Felappi: il commissario, inviso al questore di Brescia, è stato trasferito dalla città in Valle Camonica. Quasi un vero e proprio esilio per un personaggio scomodo, fuori dagli schemi e dalle doti investigative poco apprezzate. Ma la storia di questo romanzo ha inizio molti anni addietro…
Una disgrazia immane ma annunciata
Fu un dicembre terribile, quello del 1923. Il cedimento strutturale della diga situata tra la Valle di Scalve e la Valcamonica (entrata in funzione solo pochi mesi prima) spazzò via interi abitati, con l’urto di milioni di metri cubi di acqua che, in caduta libera, arrestarono la loro innaturale corsa solo una volta raggiunto il lago d’Iseo.
Arriviamo alla fatidica data del primo Dicembre 1923. E’ mattino presto, la luce non è ancora arrivata ad illuminare queste montagne. In quel momento una persona è presente qui alla diga: il guardiano. Si chiamava Francesco Morzenti ed è un nome in questa zona, ma non solo, che ricordano tutti. Fu lui il primo ad accorgersi di un masso che franò dalla diga e precipitosamente ispezionò lo sbarramento. Capì subito che stava succedendo qualcosa di gravissimo. Intravide nella penombra una lunga crepa che si era formata in uno dei piloni centrali. Spaventato, ma non del tutto incredulo, provò a raggiungere la propria baracca per cercare di dare l’allarme!
Fabrizio Felappi, “Il respiro del Gleno. Un giallo lombardo”, p. 12
Le cause del disastro, si diceva, furono totalmente da addebitare ad errori e imprudenze umane: quella che avrebbe dovuto essere una struttura unica al mondo, fulgido esempio di ingegneria moderna, non era altro che il risultato di anni di progettazioni approssimative, appalti truccati, permessi aggirati, collaudi inesistenti, utilizzo sconsiderato di materiali scadenti.
Nei vari processi che seguirono vennero indagati a più riprese committenti, progettisti, appaltatori, ingegneri, senza che tuttavia si individuasse un vero responsabile: la vicenda giudiziaria si concluse infatti con qualche multa e la sostanziale assoluzione di tutti gli imputati.
Un cadavere che chiede giustizia
Facendo un salto temporale ai giorni nostri, ci ritroviamo dunque ai piedi della diga o, meglio, di quello che rimane dell’imponente costruzione: uno scheletro di cemento e un tratto di natura stravolto e sfregiato dalla mano umana, macabra testimonianza di una vicenda mai dimenticata e diventata negli anni meta di escursionisti e curiosi. E’ proprio in occasione di una gita domenicale come tante che viene rinvenuto un cadavere: di chi si tratta? E’ una morte naturale oppure si ha a che fare con un omicidio? A quando risale il decesso ma, soprattutto, è possibile che il corpo appartenga a uno dei tanti operai che presero parte alla costruzione della diga?
Saronno, affiancato anche questa volta dal fidato collaboratore Ivan Nosetti, si ritrova invischiato in un caso pieno di domande e lati oscuri. I due decideranno di seguire i deboli indizi a disposizione in un’indagine non ufficiale, che li porterà a riaprire una vecchia ferita in cerca di una verità difficile da individuare. Ad aiutarli nello sforzo di dipanare la matassa, alcuni personaggi legati in qualche modo agli avvenimenti di 100 anni prima. Fra questi un parroco “collezionista” di documenti e cimeli dell’epoca, descritto in modo molto singolare.
Il prete era un omone, con un ampio ventre e le gote rosse, due occhi azzurri curiosi e una barbetta senza baffi alla Abramo Lincoln che gli circondava il viso tondo. Non aveva un capello in testa e teneva le mani giunte sulla pancia. L’abito talare nero leggermente sdrucito gli dava quell’aria da prete di campagna anche se si era in mezzo alle montagne. Don Tarcisio fece un mezzo inchino e disse sorridendo: “Buongiorno a voi pecorelle. A cosa devo il piacere di questa vostra visita?”
Fabrizio Felappi, “Il respiro del Gleno. Un giallo lombardo”, p. 69
Il finale – e l’evidente affezione di Felappi per il suo commissario Saronno – lasciano presagire una quinta avventura, usando le parole dell’autore, “vissuta tra quelle verdi e meravigliose montagne”.
Il passato parla, il presente non dimentica
Il giallo di Felappi è ancora una volta profondamente radicato al territorio e, al di là della trama, quello che si apprezza maggiormente è il senso di rispetto ed empatia verso le tante vite spezzate dall’immane disastro (come si legge sul sito www.valdiscalve.it “le vittime accertate del disastro del Gleno furono 359, anche se le stime variano arrivando a riportare una cifra di 500 – ndr).
L’enorme cantiere del Gleno, per il quale tanti uomini lavorarono duramente per anni, avrebbe potuto significare un po’ di benessere per le povere comunità della zona, ma non portò altro (caso purtroppo non isolato) che morte e devastazione. E se da un lato il tempo ha sicuramente lenito le ferite inferte al territorio, i ruderi della diga sono a perenne monito di una dolorosa memoria che non può essere dimenticata.
Titolo: “Il respiro del Gleno. Un giallo lombardo”
Autore: Fabrizio Felappi
Editore: etabeta, 2022
Genere: Gialli e noir
Pagine: 162
EAN: 9791259687272
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