La silenziosa fatica e l’emblematica dignità della Lavandaia del Pitocchetto nei trenta preziosi quadretti di Paola Carmignani editi da Grafo
Recensione di Silvia Lorenzini per Brescia si legge
La Lavandaia è la nostra Gioconda. Il suo accenno di sorriso non lo si vede subito e scaturisce da una certa tristezza, da una severità congenita. Quel cenno di sorriso però c’è. E, come quello della Gioconda, è carico di mistero.
Paola Carmignani,“Il silenzio della lavandaia”, pagina 49
Nel gennaio 2020 Paola Carmignani, così racconta, si trova a passare di fronte alla Pinacoteca Tosio Martinengo. L’ispirazione del momento la spinge a entrare per un breve giro di visita della collezione e, soprattutto, per rivedere la Lavandaia del Pitocchetto, con cui ha «un rapporto speciale molto risalente negli anni». L’opera non c’è, come talora accade ai capolavori ospitati nei nostri musei: è in prestito a San Pietroburgo, scambiata con un Velázquez in esposizione in quei giorni in città.
Il disappunto, la delusione per l’assenza di un’opera «che doveva sempre restare al suo posto» induce la Carmignani, critica teatrale del Giornale di Brescia, a riflettere sul valore della sua presenza. Per lei, per Brescia, per tutti. Da questo episodio, dunque, prende le mosse il volumetto “Il silenzio della Lavandaia” (Grafo, 2022 – acquista qui), uno zibaldone di riflessioni dettate dalla fascinazione intensa del personaggio femminile che campeggia in primo piano nell’opera.
Il lavoro della lavandaia tra autobiografia e letteratura
Più dell’altisonante Vittoria alata, più della Leonessa “beverata del sangue nemico” e certo più della dolente e molle Ermengarda che aleggia in Santa Giulia, la Lavandaia è il simbolo di Brescia, della sua gente, del suo carattere forgiato dalla fatica, del suo amore concreto, che si esprime in caritatevoli gesti di solidarietà.
Paola Carmignani,“Il silenzio della lavandaia”, pagina 49
Un giorno qualunque, in una strada qualunque della Brescia degli inizi del Settecento. Gente che passa per strada affaccendata, ciascuno preso dai propri pensieri e dal proprio lavoro. Passa anche un pittore, Giacomo Ceruti, che chiamano il Pitocchetto, vede una donna che strofina i panni a un lavatoio. Lei cessa per un attimo il lavoro e gli rivolge lo sguardo. Un fatto insignificante di vita quotidiana diviene per l’artista occasione di un capolavoro, lo spunto per immortalare l’istante in un dipinto che tutt’oggi abbiamo la fortuna di ammirare alla Pinacoteca Tosio Martinengo.
Paola Carmignani ha distillato in un volumetto di poco più di sessanta pagine quello che il silenzio inesorabile di una umile lavandaia ha da dirci. Sospeso fra il soliloquio e il dialogo muto, il librino affronta un percorso fra autobiografia e letteratura, fra fatica e bellezza, fra istante ed eterno, per mostrarci come dentro quel lontano momento di tre secoli fa, ancora oggi, ci siamo noi tutti.
Il valore e la dignità del lavoro più umile, la fatica e il coraggio delle donne, la tenacia e l’operosità dei Bresciani: tutto ciò, secondo Paola Carmignani, è racchiuso nel dipinto del Pitocchetto. Della Lavandaia l’autrice scruta i particolari: le mani nodose e arrossate, lo sguardo stanco, il sorriso accennato. Ciascuno di essi evoca suggestioni: la malinconia delle Lavandare pascoliane, la sorte agra della Massera da bè, ma anche i cenacoli femminili dei lavatoi, l’odore buono di bucato, l’essenza di una vita dura e decorosa.
La silenziosa fatica delle lavandaie
Il bucato di campagna negli anni Quaranta-Cinquanta:
Paola Carmignani,“Il silenzio della lavandaia”, pagina 63
1. si prende della cenere di legna e la si staccia accuratamente […];
2. si dispone la biancheria nella tinozza[…];
3. sulla biancheria si distende un grosso canovaccio pulito;
4. sul canovaccio si distribuisce uniformemente la cenere in misura di 3kg. per 10 litri d’acqua;
La tecnologia ha cancellato, per nostra fortuna, la necessità di trascorrere lunghe ore della propria giornata nel duro lavoro di lavare i panni. Ma, fino a non troppi decenni fa, il lavoro di molte donne consisteva in ore passate al gelo, ferme in una posizione innaturale, a strofinare, pulire, attorcigliare e risciacquare i panni di casa o quelli dei signori che si potevano permettere di pagare una lavandaia.
La Carmignani vuole ricordare tutta questa fatica, anzi «ogni lavatoio è un monumento», afferma, nella volontà di unire la sua voce a quella di quegli scrittori che, come Flaubert o Lalla Romano e tanti altri, hanno raccontato le storie degli “ultimi” della società.
Per lei le lavandaie sono anche volti noti, come quello della Rina, la donna che, ogni giovedì, per molti anni della sua infanzia, veniva per casa per il bucato. Per lei sono anche la regalità delle donne di campagna, sempre dritte, con il corpo «solido come una cattedrale», come sua nonna, vigorosa e generosa donna della Valvestino.
Il libro si snoda in trenta minuscoli quadretti di riflessioni, poco più di una pagina ciascuno, qua e là arricchiti da spunti di immagini quali il particolare di una Natività del Moretto, una foto di Bruna Gozio in Flor da Coblat in un allestimento del CTB, reinterpretazioni di Luciano Cottini dal Ceruti.
Trenta piccoli quadretti, quanto basta per dare voce a un silenzio che continua a interrogarci.
Titolo: Il silenzio della Lavandaia
Autori: Paola Carmignani
Editore: Grafo, 2022
Genere: Zibaldone
Pagine: 63
ISBN: 9788854930698
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