Istruzioni per un festival culturale di successo. Intervista a Stefano Malosso (Oltreconfine)
Intervista a cura di Andrea Franzoni per Brescia si legge
Che ci fanno il Premio Strega Emanuele Trevi a Capo di Ponte, Nicola Lagioia a Darfo Boario, o Maura Gancitano di Tlon a Pian Camuno? Cosa potrà mai attirare Lella Costa a Borno, Walter Siti ad Angolo Terme ed altri tra i più importanti scrittori e intellettuali contemporanei nei comuni più remoti della Val Camonica?
Giunto alla sua settima edizione, il Festival Oltreconfine è senza dubbio uno degli eventi culturali più interessanti e sorprendenti della nostra provincia: undici appuntamenti, inseriti in un calendario che si dispiegherà fino al 5 ottobre, che porteranno alcuni dei nomi più caldi ed interessanti del panorama culturale nazionale ad oltrepassare il confine (immaginario?) che separa il gran mondo letterario contemporaneo da una valle stretta e profonda come la Val Camonica.
Stefano Malosso, milanese di adozione ma camuno di origine, ben introdotto nel mondo editoriale meneghino e collaboratore di case editrici nazionali ma anche assessore alla cultura in un piccolo comune di una Valle con cui sente il bisogno di rinnovare costantemente il legame, è l’inventore e il direttore artistico di “Oltreconfine”. Brescia si legge lo ha intervistato per scoprire come il festival è nato, qual è la visione culturale che lo alimenta e quali sono le prospettive per quell’ipotetica “scena letteraria bresciana” il cui destino sta a tutti noi molto a cuore.
Il festival “Oltreconfine”, da te ideato e diretto fin dalla fondazione, è giunto in questo 2021 alla sua settima edizione. Ti andrebbe di riavvolgere per un attimo il nastro e raccontarci come tutto questo è nato?
“Oltreconfine” nasce sette anni fa dal desiderio di tre piccoli comuni della valle (Gianico, Artogne e Pian Camuno) di unire i calendari delle loro iniziative estive. L’idea è stata quella di provare a uscire dagli steccati tipici di questi piccoli paesi… paesi in cui molti sono ancora convinti che tutto ciò che è utile e necessario sia presente all’interno dei confini comunali, e che quindi non ci sia motivo per guardarsi attorno. Quello che abbiamo pensato di fare è stato provare a ribaltare questo concetto dicendo: tutto ciò che dobbiamo essere, scoprire, costruire, lo possiamo ottenere aprendo il confine ed abbracciando un dialogo con ciò che sta al di là di questo recinto.
L’obiettivo iniziale è quindi stato quello di realizzare una sinergia, una rete (seppur semplificata): un dialogo che in quel momento era anche molto basico, perché fatto con i “vicini di casa” dei comuni limitrofi, ma che comunque rappresentava già un primo superamento degli steccati.
Con queste premesse, sette anni fa, è quindi nata la prima piccola rassegna, tutta fatta con autori locali, che non aveva le ambizioni e il livello qualitativo che ha adesso ma che ha avuto un buon riscontro. Ci siamo accorti che questi 4 o 5 incontri, fatti un po’ in un comune e un po’ nell’altro, sono andati abbastanza bene; e soprattutto abbiamo capito che l’idea di creare questo ponte era anche molto piaciuta alle popolazioni e che l’iniziativa le aveva spronate ad uscire per andare a vedere qualcosa, per presenziare a un evento realizzato dai vicini.
Il primo confine da superare a cui allude il titolo del festival, “Oltreconfine”, sembrerebbe quindi essere proprio quello che separa i singoli comuni dai vicini… una cosa un po’ paradossale, in un’epoca in cui le frontiere nazionali diventano più sfumate e con decenni di globalizzazione alle spalle, ma in effetti molto vera.
Esatto, in un certo senso il primo confine che ci si è proposti all’inizio di superare è stato proprio quello dei singoli comuni… anche solo portando i cittadini di un comune a passare una serata nel comune vicino per assistere a una conferenza. Mi rendo conto che possa sembrare strano, ma è una cosa che in queste vallate non è affatto scontata: sono meccanismi di chiusura spesso poco più che apparente, perché basta poco per scardinarla, ma sono meccanismi che ci sono, che agiscono, e che vanno un po’ superati.
Sicuramente questi meccanismi di chiusura esistono dappertutto (a Brescia riguardano magari i quartieri, o gruppi di persone), ma forse in Valcamonica hanno radici un po’ più profonde. Non dimentichiamo che la Valcamonica si è sempre posta come altra anche rispetto a due realtà come Brescia e Bergamo che hanno sempre provato ad avere un’egemonia, senza farcela perché i camuni sono un popolo “anarchico” che sente una sua identità forte e diversa rispetto a quella dei capoluoghi che distano d’altra parte molte decine di chilometri. Da un lato, volendo dare una connotazione negativa, ci troviamo di fronte ad una sorta di isolazionismo; dall’altro, in chiave positiva, questa componente identitaria e di voglia di rivendicare una propria indipendenza ha senz’altro un suo valore.
In ogni caso, c’è sicuramente una membrana sottile che continua a separare la Valle Camonica dal resto della provincia e dal resto del territorio. Ed anche per questo per noi è fondamentale questo sguardo che si porta all’esterno. Così come è parimenti importante lo sguardo dell’esterno che si rivolge su di noi.
Dagli esordi di cui ci hai parlato, Oltreconfine è molto cresciuta: il contesto rimane sempre quello della Val Camonica e del Sebino, ma ormai gli ospiti in calendario sono tutti autori di fama nazionale…
Credo mi abbia senz’altro facilitato il fatto di scrivere e di lavorare ormai da anni nell’editoria, perché questa è stata la molla che a un certo punto ci ha fatto dire: perché invece di limitarci agli autori locali, che nelle biblioteche già trovano il loro pubblico interessato alla questioni locali, non proviamo a fare qualcosa di più azzardato, invitando qualche ospite nazionale della cultura e provando ad adottare uno schema culturale più aperto, che non si limiti alla letteratura ma che esplori anche altri linguaggi? Perché non proviamo, sempre seguendo questa cresta del confine che viene abbattuto o varcato o almeno problematicizzato nel rapporto interno esterno, ad andare un po’ di più Oltreconfine?
Non è per snobismo, quindi, se abbiamo deciso di dedicarci unicamente ad autori provenienti da fuori; il fatto è che a noi interessa portare sul territorio qualcosa che sia inedito. Se ci propongono degli autori anche affermati ma che sono già stati sul territorio, ad esempio, molto difficilmente li “accettiamo”, proprio per la necessità di superare il confine e di aggiungere qualcosa.
Così, già alla terza edizione, abbiamo cominciato a invitare autori noti (o più spesso in procinto di diventarlo) come Paolo Cognetti, Luca Mercalli e Mauro Covacich. E ci siamo accorti che quello che all’inizio sembrava un grosso azzardo aveva in realtà un suo senso: nella presenza di pubblico, ma anche nella qualità e nella soddisfazione degli ospiti che portavamo in valle. Le prime edizioni sono state accompagnate da un senso di stupore generale delle persone: le prime volte in cui ho cominciato a dire che questa rassegna per me era un festival di scrittori e personalità della cultura nazionale, le persone più generose mi hanno dato del visionario, quelle meno generose del pazzo e forse qualcuno anche del cretino.
Quando poi si è unito Darfo Boario Terme, il più grande tra i comuni della zona, abbiamo avuto conferma che Oltreconfine poteva diventare anche un progetto di promozione e valorizzazione di un intero territorio, dei comuni, della vallata e scendendo fino al Sebino. Nel 2019 siamo arrivati all’edizione monstrum con il coinvolgimento di 16 comuni: non sono molti in Italia i festival culturali che possono dire di essere così diffusi, dilatati nel tempo e con questa qualità di programma. La prima persona che ci ha detto questa cosa nel 2019 è stata Michela Murgia che ha detto “non so se voi siete consapevoli ma in Italia ci sono pochissimi progetti con questa qualità, così diffusi e con un coinvolgimento così ampio di comunità locali e con una rete così radicata”.
Brescia si legge nasce, e sceglie di dedicarsi agli autori bresciani, per interrogarsi e reagire alle difficoltà che sembra incontrare chi vuole occuparsi di letteratura in una provincia come la nostra. La provincia di Brescia, infatti, è una provincia tra le più ricche e popolose d’Italia ma ha enormi difficoltà a rappresentarsi e ad affermarsi in ambito letterario: basti pensare al fatto che, tranne pochi casi sporadici e “casuali”, il sistema Brescia non è mai stato in grado di “incubare” autori capaci poi di affermarsi a livello nazionale. Dal suo osservatorio di esperto di editoria e di animatore culturale, come giudica Stefano Malosso il tessuto culturale e la “scena letteraria” bresciana?
Bisogna molto interrogarsi rispetto a questa mancanza di vivacità letteraria, perché in realtà a Brescia il materiale non manca, e nemmeno la vivacità culturale in senso più ampio… ad esempio poche città hanno una scena teatrale viva come Brescia, così come mi vengono in mente – per fare un altro esempio – le diverse Accademie che ormai hanno sede a Brescia. Non so dirti perché la scena letteraria sia rimasta visibilmente un po’ indietro: ci sono alcune personalità che magari sono poco visibili (i primi che mi vengono in mente sono Marco Archetti e Gherardo Bortolotti), ma la mia sensazione è che ci sia proprio un problema di sfilacciamento: mancano i luoghi e gli spazi nei quali le persone che si occupano di letteratura si incrociano e condividono progettualità (perché oggi se vuoi fare cose devi fare così). Mi pare che in città manchino questi spazi, come se il primato della lettura e della letteratura in città fosse lasciato solo agli autori locali che ragionano su storia locale, identità: cose che hanno un loro valore ma che si esauriscono nella piazza cittadina. Forse manca la capacità di guardare oltre, di guardare oltre il confine.
In ogni caso hai ragione: c’è qualcosa che non torna sulla letteratura. Il mio augurio è che qualcuno riesca a portare uno sguardo di tipo letterario, anche perché Brescia non è una città qualsiasi: è un cantiere politico sociale economico incredibile con tante storie da raccontare. Quello che stupisce di Brescia è questa sorta di irrequietudine che è magmatica ma che si sente… se tu oggi vai in Piazza Vittoria, per fare un esempio, vedi questi enormi gruppi di ragazzini di ogni etnia che lì vivono, ed è lì nasce la letteratura: non nasce nelle safe zone istituzionali. E Brescia è piena di questi brandelli di vita così irrequieti e così poco allineati, magmatici. Credo che ci siano i semi: forse manca un po’ un aiuto a far crescere questi semi, e il compito di chi come voi (ma anche come me) ha un progetto editoriale o culturale dovrebbe essere secondo me questo: accompagnare questi semi e portarli a dire qualcosa, a Raccontare (con la “R” maiuscola) quel magma sotterraneo.
Se io potessi esprimere un desiderio sarebbe di avere a Brescia un circolo culturale molto aperto, molto inclusivo, senza barriere di ingresso di nessun tipo dentro il quale ognuno possa portare la propria storia e il proprio percorso umano, che è quello che fa la differenza.
PS. Noi crediamo e speriamo che Brescia si legge possa, nel suo piccolo, essere uno di questi luoghi. Se anche tu vuoi unirti a noi per provare a rendere questo “spazio” più grande, più forte, più bello, contattaci.
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