“L’anno in cui il mondo svanì”: anedonia e desideri inafferrabili nell’originale esordio di Matteo De Leone

Altra massima dell’ultima seduta: vivi nel presente.
Smetterla di ciondolare nel rimpianto, di immaginare il domani e costruire aspettative poggiate su fantasie. Non faccio che consumare energie per rimanere fermo, ancorato al mio scontento.

L’anno in cui il mondo svanì, di Matteo De Leone, p. 40

Alla soglia dei trent’anni, Amedeo è bloccato in un limbo. Laureato e in buona salute, dopo aver rinunciato a vari contratti a tempo indeterminato, si ritrova senza una carriera, una vita sociale o un obiettivo da inseguire. Insoddisfatto e incapace di comprendere perché, inizia un percorso di psicoterapia. Nel diario delle sedute viviseziona ogni giornata con spirito caustico, a tratti quasi compiaciuto. Tutto scorre con inesorabile lentezza fino a quando non s’imbatte in un insolito annuncio di lavoro: custode e assistente in una biblioteca di un piccolo centro di montagna. Sull’onda del momento, Amedeo risponde. L’assunzione sarà la prima di una lunga serie di sorprese. Nel paese in cui si trasferisce, simile a certi borghi isolati delle valli bresciane, scoprirà un mondo inaspettato, popolato da personaggi surreali e misteriosi, a cominciare proprio da Sara, la professoressa che regge i fili dell’immensa biblioteca e, fin dall’inizio, sembra sfidare il nuovo assunto a sbrogliarne la matassa.

“L’anno in cui il mondo svanì”, del bresciano classe ’91 Matteo De Leone (Edizioni La Gru, 2023) è un’opera che sfugge a ogni classificazione. A metà tra il memoir e il romanzo di formazione, ricco di richiami alle neuroscienze, alla fisica quantistica e alla filosofia (l’autore è laureato in Fisica Teorica) , il libro si regge su una scrittura molto ispirata che s’innerva di temi complessi, rimanendo sempre brillante e coinvolgente. Corrosivo, sarcastico, eppure a modo suo anche romantico, il romanzo di De Leone è un esordio ambizioso che evita i sentieri più battuti e sfida chi legge a fare lo stesso.

Sono stato impulsivo: ho recuperato l’annuncio e scritto alla casella e-mail indicata. È stato come soddisfare un bisogno: ho digitato spinto dal puro istinto, senza riflettere sul modo migliore di approcciarsi. Credo di non aver nemmeno riletto prima di premere Invia, ho il dubbio di aver scritto frasi disperate. Anzi, lo so.
Non c’è un numero di telefono per parlare con qualcuno in merito alle effettive mansioni e su Internet non figura alcun centro studi o azienda nel paesino. Strano. Forse ad affascinarmi è la vaghezza. Nell’incertezza qualsiasi speculazione, persino, la più implausibile, appare possibile.

L’anno in cui il mondo svanì, di Matteo De Leone, p. 29

Amedeo, protagonista e voce narrante, incarna la condizione di molti under trenta di oggi. In Italia la formazione universitaria non sempre è garanzia di un lavoro all’altezza e, in un sistema che idolatra la “performance”, basta perdere il passo per ritrovarsi esclusi, a fare i conti con un disagio che per il resto della società è solo l’ennesimo stigma. Quasi per caso, Amedeo ha l’occasione di invertire l’inerzia. Un impiego lontano da tutto lo costringe a rompere la vecchia routine. Nel piccolo paese che lo accoglie come un corpo estraneo, trascorre le sue giornate all’interno di una biblioteca labirintica, degna de “Il nome della rosa”, cercando di esplorarla di nascosto e di carpirne i segreti.

Il racconto procede tra nuovi incontri e aneddoti del passato, in un flusso di coscienza che, pagina dopo pagina, non manca di spiazzare, dosando i registri e aprendosi a riflessioni filosofiche. De Leone sembra attingere alle sue passioni: la storia del pensiero, le neuroscienze, il rapporto della nostra società con la tecnologia. Proprio grazie alla mescolanza di toni e linguaggi, l’autore riesce a gestire la complessità di certi temi senza che la narrazione ne venga schiacciata.

In “L’anno in cui il mondo svanì”, infatti, scienza e letteratura sono due facce della stessa medaglia. Entrambe sono estensioni della mente, strumenti essenziali per decodificare la realtà. Il tema chiave è il libero arbitrio. La storia di Amedeo diventa così una riflessione sull’origine delle nostre scelte che solo in apparenza sarebbero riconducibili a un atto di volontà. Dalle ipotesi pionieristiche di Benjamin Libet agli esperimenti di Hans Helmut Kornhuber e Lüder Deecke, l’evidenza empirica suggerisce come ogni nostra azione sia l’esito di una catena di processi biochimici. Viviamo nostro malgrado in un mondo deterministico. Il libero arbitrio non esiste. È solo una mera costruzione mentale, una “sciarada” del nostro cervello. Eppure, come appunta Amedeo nel suo diario, anche questa “vaghezza”, in fondo, può rivelarsi un’occasione da cui ripartire.

Per tutto questo pigro tempo ho mantenuto il diario in forma romanzesca, mi sono assegnato il ruolo di protagonista, mi sono posto al centro del Creato quale punto fermo attorno a cui ruota l’universo (ri)disegnato. Che razza di protagonista sono? No ne ho le fattezze né l’attitudine, inoltre sono sia protagonista che autore: invento il reale che mi investe ogni giorno e lo traspongo su carta proprio come farebbe un artista.
Ma un artista è un bugiardo, un inventore seriale di fandonie sotto cui pretende di nascondere una qualche verità, e allora per forza di cose ho mentito: rileggo le pagine degli ultimi mesi imbrattate con la mia grafia minuta e sgraziata e diffido di me stesso. Diffido del contenuto, anche se dicevo la verità.

L’anno in cui il mondo svanì, di Matteo De Leone, p. 204

Il romanzo è anche una riflessione sulla scrittura e quindi, verrebbe da dire, sul mondo intero. A chi si rivolge un autore che decide di raccontare una storia? Cosa succede se quella storia è anche la sua? Quanto c’è di vero in un’opera di finzione e quanto di immaginario nella realtà che ci circonda? In un intreccio sospeso tra determinismo e libero arbitrio, la vicenda di Amedeo non fornisce facili risposte ma invita all’esercizio del dubbio.

“L’anno in cui il mondo svanì” è una lettura che ha il raro pregio di provocare. Nell’intreccio costruito da Matteo De Leone, l’inconcludenza non è per forza di cose un limite. Se la mente è un “buco nero” in cui la realtà collassa, allora la pretesa di esplorarla è un paradosso. Ma cosa non lo è in un’esistenza che cambia a seconda del punto di vista? Eppure, nel groviglio delle sue contraddizioni, la realtà continua ad attirarci e respingersi, alimentando all’infinito la nostra ansia di comprenderla. Ecco perché nelle pagine di un romanzo, come nei labirinti di una biblioteca o in quelli della mente, il vero rischio non è mai perdersi ma ritrovarsi.


Titolo: L’anno in cui il mondo svanì
Autore: Matteo De Leone
Editore: Edizioni La Gru
Anno: 2023

Genere: romanzo
Pagine: 212
ISBN: 9791280204974

Roberto Bonzi

Nasce nel 1978 a Nuvolento. Fin da piccolo, ama la scuola alla follia: trascorre metà della giornata a leggere e scrivere, l'altra a convincere i compagni di non essere un secchione. Dopo la laurea in "Discipline economiche e sociali" all'Università Bocconi, inizia ad occuparsi di comunicazione, di fiere e di congressi. Nel frattempo, dopo una parentesi come vicesindaco e assessore all’istruzione e cultura del suo paese natale, continua a leggere e scrivere (Come lontano da Irene, 2010; Remigio ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la matematica, 2015; Centro Fiera del Garda. Nascita e sviluppo di un polo fieristico per la Lombardia orientale, 2017) e a spiegare in giro cosa non è.

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