“Ministro”: uno sguardo al passato della Val Trompia rurale tra emarginazione, povertà e cambiamenti epocali nel romanzo di Egidio Bonomi

Letto e recensito da Francesco Buffoli per Brescia si legge

[…] Giuseppe, in realtà, era completamente impazzito, d’una follia innocua, tutta sorrisi, remissiva, persino autolesionistica. Dopo l’abbandono di casa Padhòt aveva preso a vagare per il paese. Sole, pioggia o neve non lo riguardavano, pareva in grado di sopportare senza danni il freddo più livido ed il caldo più boccheggiante […] e da quel momento Giuseppe fu “Ministro”, con la “s” tra la “i” e la “t” pronunciata come un h aspirata, quasi un’acrobazia vocale: Mini-h-tro.

“Ministro”, Egidio Bonomi

Egidio Bonomi, storica penna del «Giornale di Brescia» e scrittore affermato con all’attivo una trentina di pubblicazioni tra romanzi, saggi e ricerche storiche, con “Ministro” (Compagnia della Stampa, 2022 – acquista qui) racconta e celebra la figura di Giuseppe, detto appunto Ministro, un uomo vissuto a Lumezzane tra gli anni quaranta e cinquanta, giusto un attimo prima che il boom economico trasformasse la cittadina della Valgobbia nella capitale mondiale delle posate, nel polo industriale più importante e operoso della provincia di Brescia e forse di tutta Italia.

La vicenda, forse proprio perché ambientata in una Lumezzane ancora rurale, sembra appartenere a un passato remoto, privo di una collocazione precisa; la bravura di Bonomi sta proprio nel saper raccontare gli ultimi giorni di un mondo destinato a essere inghiottito dalla prepotente ascesa dell’industria metallurgica e siderurgica. Un racconto fatto di descrizioni nitide, ricchissime di dettagli concreti che le rendono rigogliose e capaci di aprirsi anche in squarci impressionisti.

Una Lumezzane a cavallo di due mondi

A onor del vero, nonostante si respiri il profumo di una civiltà arcaica, il clima culturale che circonda Giuseppe assomiglia a suo modo a quello della modernità, e forse risiede proprio qui la forza e la capacità del testo di parlare anche del mondo di oggi: nelle prime pagine, l’autore ci rivela che Giuseppe aveva “deciso che la vita poteva essere vissuta con meno affanno, la roba, i beni potevano fare a meno di lui…Nel paese osservava gente con l’unica e sola preoccupazione di accumulare sostanze e ricchezza…Giuseppe non perseguiva una povertà di stampo francescano…Con impercettibile accenno di compassionevole sorriso, annotava l’affanno di quanti, magari già benestanti se non ricchi, moltiplicavano gli sforzi per moltiplicare i beni”.

Nella futura capitale mondiale delle posate, evidentemente in pieno tumulto già negli anni ’50, una simile affermazione ha tutto il peso e la forza di uno sfregio e, nonostante le dichiarazioni di segno contrario dell’autore, a mio avviso possiede un’essenza profondamente francescana: ancorché quella di Ministro sia una saggezza tutta laica e terrena, la sua persona e il suo coraggio mite evocano non solo la controcultura, le comunità hippie (le cui istanze però restano a debita distanza, sono l’eco di un futuro lontano), ma anche e soprattutto il Giullare di Dio di Roberto Rossellini o, se vogliamo, l’allegoria della mansuetudine che troviamo nell’asino Balthazar di Robert Bresson.

Lo scherno, il disprezzo e anche le azioni violente che Ministro è costretto a subire, azioni descritte in maniera minuziosa e “concreta” dall’autore, sono lo specchio di una società che non comprende le ragioni di Giuseppe, derubricandole a una malcelata forma di furbizia e/o a pigrizia, e che lo emargina con sdegno, senza pietà: il pestaggio, con tanto di annegamento sfiorato, che Giuseppe subisce da parte di un gruppo di energumeni del paese durante la stagione estiva nei pressi del fontanèl è una potente metafora della crudele indifferenza riservatagli dai suoi concittadini.

Solo Batihtì de Padhòt, nella sua casa ai Campi Buoni, lo accoglie e gli dà da vivere, trasformandolo nel suo famiglio. Una parte significativa del libro racconta proprio del lavoro e della convivenza tra il Ministro e l’unica famiglia che ha il coraggio di accettarlo.

La qualità della prosa e la sua originalità arricchiscono un racconto che si sviluppa a episodi e che è capace di catturare sin dalle prime pagine l’interesse del lettore: Egidio Bonomi evita di trasformare la cittadinanza nel bersaglio dei suoi strali, ma si immerge senza supponenza, e anzi con la fulgida empatia di chi è in grado di comprendere in pieno le ragioni degli altri, specie dei “diversi”, nella vita e nella profonda spiritualità di Giuseppe, tracciandone un ritratto vivido e accorato.


Titolo: Ministro. Tratto da una storia vera
Autore: Egidio Bonomi
Editore: La Compagnia della Stampa, 2022

Genere: Romanzo biografico
Pagine: 256
ISBN: 9788884868879

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Francesco Buffoli

Francesco Buffoli è nato a Chiari (Bs) il 18 dicembre 1982, vive a Brescia da diversi anni ed esercita sin dal 2009 la professione di avvocato. Nutre da sempre una grande passione per la lettura e la scrittura, oltre che per la musica. Tra 2004 e 2008 ha collaborato con il quotidiano Bresciaoggi, scrivendo di sport e di cultura. Dal 2007 è redattore del sito storiadellamusica.it e dal 2013 collabora stabilmente con la nota rivista Rockerilla, per la quale scrive recensioni di libri e di dischi, occupandosi principalmente di jazz e di rock alternativo; negli ultimi mesi ha iniziato a collaborare anche con la webzine Game of Goals, trattando di tematiche che si collocano al confine tra sport e cultura. Ha pubblicato una raccolta di poesie ("AmErica", premiata al festival della microeditoria di Chiari del 2016) e due romanzi ("La messa è infinita" e "Più strano del Paradiso"). La passione per la letteratura è maturata durante gli anni delle superiori, ma è cresciuta esponenzialmente nel periodo immediatamente successivo, quando Francesco ha scoperto la beat generation, il gonzo journalism e la "letteratura rock" di Lester Bangs e compagnia. Sin da allora, Francesco mostra una predilizione per gli scrittori che arrivano dal Nuovo Mondo; i suoi autori preferiti (fatta eccezione per gli europei Albert Camus ed Hermann Hesse) sono i latinoamericani Roberto Bolaño, Pablo Neruda e Gabriel García Márquez, nonché gli americani John Cheever, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Carlos Williams, Don DeLillo e David Foster Wallace.

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