I terrorismi a Brescia dopo l’11 settembre: tra radicalizzazione, prevenzione e società aperta
Recensione a cura di Roberto Bonzi per Brescia si legge
Tracciare una mappa della radicalizzazione a Brescia e provincia e, attraverso un’analisi del contesto, offrire ad operatori, educatori e cittadini attivi strumenti utili per comprendere uno dei temi caldi degli ultimi decenni proponendo nel contempo strategie di prevenzione che mettano a frutto il bagaglio di buone pratiche che sono da tempo un tratto distintivo della città.
È l’ambizioso obiettivo de Il terrorismo a Brescia dopo l’11 settembre” (LiberEdizioni 2020 – acquista qui), saggio di Roberto Memme e Pietro Orizio con la prefazione di Michele Brunelli, ricercatore di Storia ed istituzioni dell’Asia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, e la postfazione di Carlo Alberto Romano, docente di Criminologia dell’Università degli Studi di Brescia.
Un saggio approfondito, scritto da due giovani professionisti del settore, che indaga in profondità il tema dei terrorismi contemporanei passando in rassegna gli episodi riconducibili al terrorismo accaduti nella nostra provincia (prevalentemente di matrice islamica, ma senza trascurare la galassia neofascista) ed indagando gli elementi di contesto che hanno favorito o ostacolato le derive violente. Arrivando a dimostrare, anche da un punto di vista scientifico, come solo una società accogliente ed aperta, capace di entrare in connessione con tutte le anime della collettività, sia un argine efficace alla violenza.
Gli autori, entrambi bresciani, si occupano da tempo di temi legati alla radicalizzazione. Roberto Memme, specializzato in Prevenzione e contrasto alla radicalizzazione, al terrorismo e per le politiche di integrazione e sicurezza internazionale (MaRTe) presso l’Università degli Studi di Bergamo, lavora presso l’Associazione ADL a Zavidovici Onlus come operatore sociale per i progetti SIPROIMI del Ministero degli Interni. Pietro Orizio, conseguito il MaRTe dell’Università degli Studi di Bergamo, dopo un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo internazionale, crimine organizzato e traffico di droga, si è specializzato in Private Military & Security Companies e collabora con varie testate specializzate tra cui Analisi Difesa, Limes e Rivista Militare.
Il lessico della radicalizzazione
Talvolta, nel lungo e tortuoso fiume della storia le acque si mischiano e le sfumature si perdono, per cui ritroviamo le mistiche confraternite Sufi che si militarizzano per l’indipendenza della Cecenia e il musulmano Badshah Khan, pashtu e fondamentalista della non-violenza, che spalleggia il Mahatma Gandhi nella lotta all’imperialismo britannico, il Ku Klux Klan che sparge terrore negli USA meridionali senza essere considerato un’organizzazione terroristica e i Testimoni di Geova in Russia, non violenti per precetto, che vengono tacciati di esserlo: è difficile concepirlo, ma fondamentalismo non significa terrorismo, men che meno violenza.
“Il terrorismo a Brescia dopo l’11 settembre”, Roberto Memme, Pietro Orizio pp. 17
Nella prima parte del lavoro, Memme e Orizio propongono un excursus tra le varie forme di radicalizzazione, evidenziando quali elementi le portino a degenerare in estremismo violento. Termini come “fondamentalismo”, “radicalismo”, “estremismo”, “radicalizzazione” o “terrorismo” sono entrati da tempo nel linguaggio comune, grazie soprattutto agli organi di stampa che tendono però a farne un uso piuttosto disinvolto, senza tener conto di differenze spesso sostanziali.
Un movimento fondamentalista, ad esempio, non necessariamente pratica la violenza (si pensi ai Mormoni o ai Testimoni di Geova). Così il pensiero radicale, quello che per definizione si propone di cambiare “dalle radici” lo status quo, ha una tradizione nobile nella storia dei movimenti politici occidentali.
Oggi, invece, il termine radicalismo evoca quasi esclusivamente il terrorismo di matrice jihadista. In realtà un percorso di radicalizzazione non conduce per forza di cose all’estremismo violento. Ci sono casi in cui la violenza diviene un mezzo per conseguire un obiettivo politico con il ricorso ad attacchi terroristici, altri in cui le ideologie radicali si mantengono nel perimetro della legalità e nell’alveo dei principi costituzionali che tutelano la libertà di pensiero.
Distinguere, argomentano gli autori, è importante non solo per una questione di principio ma anche per orientare meglio gli interventi di prevenzione e contrasto.
Terrorismo post 11 settembre 2001: l’eccezionalismo italiano
Ad inizio duemila, pur non sperimentando la presenza di network autoctoni, l’Italia è stata interessata da alcuni episodi anticipatori di dinamiche che avrebbero interessato l’intero continente. Alcuni personaggi, sconosciuti alle autorità ed in maniera autonoma e solitaria, hanno colpito ad Agrigento, Milano, Modena e Brescia.
“Il terrorismo a Brescia dopo l’11 settembre”, Roberto Memme, Pietro Orizio pp. 38.
La memoria di Brescia è legata alla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. La stagione del terrorismo di matrice neofascista, che ha segnato in maniera indelebile l’identità della città, appare però – al di là delle tortuose vicende giudiziarie – un fenomeno storico che può considerarsi, con queste modalità, di fatto concluso.
Memme e Orizio concentrano quindi la loro analisi sul periodo successivo agli attentati al World Trade Center dell’11 settembre 2001, attentati che segnano una sorta di spartiacque nella storia recente. Da quel momento in poi, infatti, il contrasto al terrorismo di matrice jihadista diventa la priorità assoluta. Il saggio traccia una prima sintesi dell’esperienza italiana.
Il nostro Paese è una sorta di eccezione tra quelli occidentali, non avendo subito attacchi terroristici di rilievo sul proprio territorio. Ciò non significa che l’Italia non sia stata terreno di proselitismo e attività di reclutamento da parte delle organizzazioni estremistiche di matrice jihadista. Da un lato, l’attività di intelligence si è dimostrata molto efficace nelle operazioni di contrasto, grazie anche all’esperienza maturata durante gli Anni di Piombo; dall’altro, si possono ipotizzare ragioni di ordine geopolitico sulle quali gli analisti sono inevitabilmente divisi.
Nella fase seguita all’11 settembre 2001, Brescia e provincia hanno incubato diversi casi presunti di estremismo violento, alcuni dei quali riconducibili a reti internazionali. Roberto Memme e Pietro Orizio tracciano una mappa di 42 episodi legati al terrorismo che non si esauriscono negli episodi di violenza ma tengono conto di “indagini, arresti, processi, falsi allarme e casi di mitomania”. La maggior parte è riconducibile alla matrice confessionale di tipo jihadista ma taluni sono legati alla cosiddetta galassia anarco-insurrezionalista. Alcuni, per la loro rilevanza, sono stati ripresi dalla stampa nazionale.
La sera del 28 aprile 2004 Moustafa Chaouki, cittadino marocchino residente a Brescia con problemi di depressione, si dà fuoco nella sua auto davanti al McDonald’s del centro commerciale Campo Grande. Il 10 aprile 2013 un pacco di polvere pirica collegato ad una pila che secondo gli inquirenti non era comunque nelle condizioni di esplodere, viene recapitato alla sede della società Europol Investigazioni di via Corsica. La mattina del 18 dicembre 2015, infine, un ordigno rudimentale costituito da una pentola a pressione nascosta in uno zaino viene fatto esplodere da un uomo incappucciato davanti alla Scuola Pol.G.A.I. di via Vittorio Veneto.
All radicalisation is local
Ogni forma di radicalizzazione va calata nel contesto. La dimensione locale ha un peso sempre più rilevante. La vera sfida è comprendere le ragioni per cui, in alcuni territori, il passaggio da una “radicalizzazione cognitiva” alla pratica della violenza incontri condizioni più favorevoli. E così Roberto Memme e Pietro Orizio esaminano le condizioni ambientali di Val Sabbia, Valtrompia e Valcamonica, visto che in anni recenti le “solitudini valligiane” bresciane hanno attirato numerosi foreign fighters jihadisti.
Un ruolo sempre più decisivo, inoltre, è quello del web: siti, forum e pagine social offrono la via più immediata alla condivisione di messaggi e contenuti potenzialmente eversivi. Viene posto l’accento, poi, sul ruolo della famiglia che un tempo costituiva il principale luogo di radicalizzazione ma che oggi, grazie alle pratiche di sostegno ed inclusione nonché all’evoluzione dei costumi, si sta rivelando un efficace elemento di contrasto. In molti nuclei familiari, ad esempio, sono le donne a rivestire un ruolo sempre più “de-radicalizzante”, smentendo così il luogo comune che le vuole asservite all’indirizzo guida delle figure maschili.
Un’attenzione particolare viene inoltre riservata alle carceri che possono facilmente diventare luoghi di radicalizzazione e indottrinamento. Anche in questo caso, sottolineano gli autori, Brescia è una realtà all’avanguardia, con una buona attività di monitoraggio e numerosi programmi di contrasto messi in campo dagli istituti penitenziari.
L’analisi non si limita, però, all’estremismo di matrice politico-religiosa. Il saggio prende in esame anche le forme di estremismo violento che si rifanno a ideologie “di sinistra” e “di destra”. Nella realtà bresciana, ad esempio, sono sempre più rilevanti gli episodi di violenza ad opera di gruppi di estrema destra che prendono di mira le strutture di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo.
Brescia isola felice
Per approfondire il caso di Brescia, tra l’agosto e il novembre 2019, gli autori hanno condotto una serie di interviste a 64 esperti della vita politica e sociale della città: amministratori, esponenti politici, professionisti impegnati nella sicurezza e nell’accoglienza. È emerso come la percezione verso il tema dell’estremismo violento continui a formarsi, in prevalenza, attraverso i media. La “bolla” è in qualche modo monopolizzata dagli echi di quanto accade in Medio Oriente e Nordafrica e spesso si salda in maniera strumentale alle polemiche sull’immigrazione e sull’accoglienza dei richiedenti asilo. Di contro, proprio gli operatori che si occupano a vario titolo delle politiche di inclusione hanno una percezione più forte del pericolo rappresentato dai gruppi dell’estrema destra.
In questa sorta di equilibrio precario, pur tra le mille difficoltà del caso, Brescia mantiene un’identità improntata all’accoglienza. I Consigli di Quartiere, ad esempio, sono strumenti che hanno saputo favorire la partecipazione civica, avvicinando alle istituzioni e alla vita di comunità anche stranieri e giovani tra i sedici e diciotto anni. La tradizione dell’associazionismo, inoltre, è un patrimonio su cui innestare nuovi percorsi di confronto e inclusione, mentre la sinergia tra volontariato laico e religioso fanno di Brescia un “laboratorio” di buone pratiche.
Uno sguardo al futuro
Nei capitoli finali de Il terrorismo a Brescia dopo l’11 settembre, gli autori lanciano una proposta per Brescia: creare “un network locale di prevenzione della radicalizzazione e di tutti gli estremismi violenti”. Agli strumenti di indagine e contrasto che fanno capo alle forze dell’ordine, alla magistratura e ai nuclei antiterrorismo, si devono affiancare politiche educative e di de-radicalizzazione.
Il futuro si giocherà sulla prevenzione attiva. Le istituzioni dovranno continuare a dialogare con chi si farà portatore di un messaggio di tolleranza, con particolare attenzione ai molti gruppi aperti a valori di solidarietà e moderazione che lavorano attivamente per inserirsi nella vita comunitaria.
Al contempo bisogna adottare politiche di vera inclusione. In particolare è necessario costruire un ponte con le nuove generazioni che saranno protagoniste della società di domani. Una società che è indispensabile immaginare più accogliente e aperta, capace di entrare in connessione con tutte le anime della collettività. Solo a quel punto, argomenta in conclusione il saggio di Roberto Memme e Pietro Orizio, contrapponendo alla radicalizzazione un messaggio positivo, il contrasto alla violenza sarà efficace fino in fondo.
Titolo: Il terrorismo a Brescia dopo l’11 settembre. Una mappatura di radicalizzazione e prevenzione tra città e provincia
Autore: Roberto Memme e Pietro Orizio
Editore: LiberEdizioni, 2020
Genere: Saggio
Pagine: 152
Isbn: 9788885524965
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