Confessione di uno sconfitto in un Carmine in mutamento. “Sabato addio” di Marco Archetti
“I nostri classici” sono una selezione arbitraria di libri bresciani usciti qualche tempo fa, che – per qualche motivo – hanno lasciato il segno.
Recensione di Andrea Franzoni per Brescia si legge
“Perché noi i sabato lo ingannavamo anche, ma lui ci diceva sempre la verità. E la verità è che quello spruzzo d’oro, quel tesoro d’aria, quella maledetta e favolosa risata, era una festa che non ci riguardava. Noi eravamo gli scartati, gli insufficienti, i mancati – cosa potevamo aspettarci? Potevamo pure sederci e far passare la vita, tanto il tuono della battaglia era sempre nel cielo degli altri”.
Marco Archetti
Filippo è nato nel quartiere del Carmine, ha 39 anni, non ha né una donna né un progetto e conduce una vita da spettatore e da escluso.
Per quindici lunghi anni, insieme al compagno di sventure Gigi, Filippo è riuscito ad eludere le occasioni in cui la solitudine si fa più pesante ed i nodi esistenziali vengono al pettine (cioè il sabato, ed in particolare il “sabato sera”) limitandosi a camminare insieme all’amico per la città osservando le inarrivabili vite degli altri.
Che fare, quindi, quando anche l’amico Gigi infine “si sistema” – incontra una donna, comincia a passare con lei tutti i fine settimana – e, oltre a costringerlo ad affrontare il peso del sabato sera da solo, inizia addirittura ad evitarlo? Come superare, da solo, il senso di inadeguatezza, tradimento e fallimento?
Confessione di una vittima dell’inadeguatezza e del destino avverso
“Sabato addio” (Feltrinelli, 2011), il primo romanzo ambientato nel cuore di Brescia pubblicato dallo scrittore classe 1976 Marco Archetti, racconta la parabola di colui che potremmo definire “un perdente” in una città competitiva ed in mutamento.
E’ il protagonista, fin dalle prime pagine, a rivolgersi direttamente al lettore (o almeno così sembra) utilizzando il “tu” e manifestando la necessità di raccontare la sua storia, una storia che sembra aver avuto un epilogo in qualche modo triste, provando però a spiegare le proprie ragioni e quindi – in un certo senso finalmente – a difendersi.
Grazie alla prosa asciutta ma efficace di Archetti, il lettore si trova così rapidamente avviluppato in una relazione empatica con quest’uomo che appare sopraffatto dai propri limiti ma anche – e forse “soprattutto” – da circostanze avverse.
Perché se le premesse non sono tutto sommato così straordinarie – un uomo non di bell’aspetto, con un lavoro comune e pochi risparmi, socialmente e sentimentalmente impacciato e che sente forte su di sé il giudizio degli altri ed il peso di una solitudine cui la percezione di inadeguatezza lo ha condotto – ad essere infatti feroce è forse soprattutto l’escalation “sfortune” che fanno vacillare il nostro anti-eroe, consumato dalla gelosia, fino a condurlo ad un epilogo non del tutto sorprendente.
Un uomo smarrito in una città competitiva ed in mutamento
Fin dall’inizio, il protagonista Filippo dichiara di essere stato escluso dalla “normalità” di una città – Brescia – che entra prepotentemente nel romanzo soprattutto tramite i luoghi ed i fenomeni che Marco Archetti seleziona in maniera tutt’altro che casuale.
Proprio la città, raccontata a tratti con dolcezza (nelle poche pagine serene del romanzo), a tratti con rancore e a tratti con smarrimento, è infatti in un certo senso co-protagonista del romanzo: gli stati d’animo del protagonista, trovano un contraltare nei luoghi che Archetti sceglie e tratteggia.
Da un lato i portici “salotto buono della città” (in cui Gigi e Filippo percorrevano – da spettatori – innumerevoli vasche), il mondo dei locali in cui si intrattengono le compagnie di ragazzi ed i residence abitati dalle famiglie felici e complete cui “per accedere è necessaria una fuoriserie”: un palcoscenico pieno di stimoli sensuali, di gonne svolazzanti, risate giulive e persone appassionate intente a vivere – all’apparenza – vite piene e soddisfacenti.
Dall’altra un Carmine cupo ed in mutamento, in cerca di una nuova identità o forse più semplicemente (come il protagonista) sopraffatto dal passare del tempo, dalla frustrazione e dall’assenza di un progetto. Un Carmine, quello dei primi anni duemila, in cui le ultime squallide botteghe (incluso il bar di Rua Sovera gestito dal padre di Filippo ormai settantenne) stentano e si spengono, incapaci di adeguarsi ad un tempo nuovo, ed in cui si affacciano nuovi inquilini esotici ed enigmatici alimentando il senso di smarrimento.
Il Carmine dei primi anni duemila co-protagonista del romanzo
Il Carmine di “Sabato addio”, il quartiere in cui Filippo è nato ed in cui il padre (figura emblematica del romanzo) continua ostinatamente a gestire un bar, è un Carmine in parte diverso da quello di oggi: un Carmine di inizio 2000 da cui i bresciani si tengono distanti (un Carmine non ancora in via di gentrificazione e non ancora diventato il cuore della “movida” bresciana) ed in cui i vecchi abitanti rimasti si rinchiudono nella loro solitudine mentre attorno a loro si affermano i nuovi inquilini, colorati ma enigmatici, e mentre le tuniche bianche ed i bar gestiti da cinesi prendono il posto delle vecchie prostitute, degli usurai e dei bar con sala-biliardo in cui si vedono sempre le solite facce attempate ed in cui l’unica lingua utilizzata è il dialetto.
Un mondo che, sopraffatto dalle sfortune e da problemi di origine ben diversa, Filippo (e molti altri con lui) si troverà addirittura a rimpiangere.
Come altri romanzi di Marco Archetti, “Sabato addio” ha il pregio di condurre il lettore nell’esistenza del personaggio in maniera semplice, asciutta, facendogli macinare pagine ed episodi con un ritmo serrato ed avvincente. L’ambientazione bresciana, il riferimento a luoghi e fenomeni noti di quello che è ormai un passato (seppur recente), costituisce però un valore aggiunto che rende questo romanzo più che meritevole di considerazione.
Titolo: Sabato Addio
Autore: Marco Archetti
Editore: Feltrinelli, 2011
Genere: Romanzo
Pagine: 146
Isbn: 9788807018527