Una famiglia bresciana alla prova del ‘900: “Vento porpora” e l’inizio della saga dei Fontana
Recensione a cura di Katiu Rigogliosi per BresciaSiLegge.it
Più di trent’anni di storia italiana, quelli che vanno dalla fine dell’Ottocento al 1931, vissuti e raccontati – tra grandi eventi storici e piccoli eventi personali – attraverso gli occhi di una composita famiglia bresciana.
“Vento porpora”, della giovane scrittrice bresciana Francesca Scotti (Edikit – acquista qui), è un coinvolgente e maestoso romanzo corale che ha per protagonista l’intera famiglia bresciana dei Fontana ma anche la Prima Guerra Mondiale e gli stravolgimenti che essa comporta. Un romanzo avvincente e imponente, di quasi 600 pagine, che unisce ricostruzione storica e coinvolgenti vicende umane calando il genere della grande saga familiare nel contesto bresciano.
Benché secondo in ordine di pubblicazione, “Vento Porpora” racconta l’inizio della saga della famiglia Fontana e quindi precede – da un punto di vista storico-cronologico – “Figli della lupa”, primo romanzo della giovane autrice bresciana (classe ’91), ambientato durante il periodo del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale.
(Attenzione, questa recensione contiene lievi spoiler)
Due famiglie bresciane all’imbocco del ventesimo secolo
La famiglia Fontana, protagonista indiscussa di questo romanzo di quasi 600 pagine e della saga che qui inizia, si origina in bassa Val Camonica, in una vecchia casa del comune di Angolo (ora Angolo Terme). Il ramo della famiglia su cui si incentra il romanzo, tuttavia, risiede in Franciacorta ed è composto da Domenico, il capofamiglia, dalla moglie Alma e dai figli: Tatiana, Elisabetta, Irma ed il minore Carlo.
La famiglia Fontana è una di quelle classiche famiglie che, alla fine del 1800, sono passate dall’essere semplici contadini a persone di più condizione relativamente più agiata, senza però dimenticare le loro origini e senza confondersi con le storiche famiglie perbene del paese.
Proprio una di queste famiglie in vista, quella dei Lancini, spicca in particolar modo nell’economia del romanzo. Formata da Giorgio, il capostipite, dalla moglie Clara e dal figlio Aurelio (quasi sempre accompagnato dall’amica d’infanzia Dalia) la famiglia Lancini condivide molto tempo con la famiglia Fontana. I capostipite dei Fontana e dei Lancini sono, a dispetto delle loro origini diverse (e dei pensieri della sig.ra Clara), grandi amici, tanto da incontrarsi tutte le domeniche per discutere di libri, di avvenimenti, di notizie del mondo.
La prima parte del romanzo è dedicata ai primi 20 anni di vita dei giovani Fontana ed all’amicizia tra le due famiglie. Sono anni che procedono quasi lentamente, cullati dall’evolversi delle situazioni, senza che si presentino grossi problemi. Anni all’insegna di fidanzamenti inaspettati, di allevamento di api (Irma, seguendo le orme del padre, diventerà un’esperta di questi utili animali), dei trasferimenti dei figli Elisabetta e Carlo a Brescia che porteranno lei a diventare una maestra di scuola d’infanzia e lui a dedicarsi ai libri, alternando gli studi all’amicizia ed all’amore.
Tutto scorre nella bambagia: sembra di trovarsi in un magico Eden, come suggerisce il sottotitolo della prima parte del romanzo.
L’irrompere tragico della Prima Guerra Mondiale
Ben presto, come tutti sappiamo conoscendo la storia del nostro paese, la vita dei nostri protagonisti verrà tuttavia sconvolta dalla decisione dell’Italia di entrare in guerra, e di mandare i propri uomini (inclusi i Fontana e i Lancini) a combattere battaglie già perse in partenza, tra i monti del Trentino e quelli del Friuli, a cavallo di fiumi e di rocce che sbarravano il passo ad ogni soldato.
Brescia mia, mia Leonessa ricca e povera, mia musa e madre, tanto ti amo e tanto non vorrei lasciarti, Parto e chissà se tornerò. Mi pare che tutto mi abbandoni, che tutto mi volti le spalle. Ciononostante, non mi sottrarrò al mio dovere. Per vivere bene e giustamente, bisogna avere la forza di non ripudiare il dolore. Partirò, quindi. Vorrei poterti portare con me, in una tasca della divisa, come una di quelle sfere di vetro che contengono un paesaggio scolpito su cui cade una polvere simile a neve. Sarà difficile sopravvivere senza i tuoi tetti, le tue fontane, i tuoi resti romani e le tue campane.
“Vento porpora”, di Francesca Scotti
E’ con questo spirito che tutti i giovani soldati, obbligati all’arruolamento, lasciavano le proprie terre, le proprie case ed i propri affetti per dirigersi al fronte: un fronte fatto di morte, di vento, di sangue.
E’ durante queste lunghe pagine della seconda parte del romanzo, quella dedicata agli anni 1915-1921, che il mio cuore di lettrice si è dovuto più volte fermare. Per la crudezza dei passaggi, per la serietà dei momenti, per le vicende di famiglia che mi riaffioravano nella mente facendo nascere lacrime difficili da fermare. Perché ogni parola scritta, ogni pensiero nascosto tra le righe del romanzo, ogni emozione suscitata da una descrizione, mi ha riportato davanti agli occhi tutte le fotografie di mio nonno, tutti gli aneddoti raccontati alla nonna dopo il suo ritorno e tutte le convinzioni politiche e gli ideali messi sul piatto della bilancia che l’hanno portato a partire, convinto di una vittoria facile e gestibile in poco tempo.
Nessuno di noi, né i protagonisti del romanzo di Francesca Scotti né noi figli dei sopravvissuti, potevamo invece immaginare quale scempio, quali ferite e quali morti avremmo portato sulla coscienza.
Non tutti faranno ritorno, e anche quelli che fisicamente riusciranno a rimettere piede nelle proprie case, avranno il cuore a pezzi, ferito, lasciato abbandonato tra i boschi del Tirolo e nelle acque dell’Isonzo.
Gli anni della ripartenza: il primo dopoguerra
Ma la vita, si sa, va avanti imperterrita, senza guardare in faccia nessuno, senza chiedersi se non sia il caso di rallentare per dare possibilità a tutti di riprendersi da quegli anni di morte. Ed è così che, quasi in punta di piedi, ci ritroviamo nella terza parte del romanzo, quella che va dal 1921 al 1931.
Anni in cui la famiglia Fontana si ritroverà a dover ripartire da zero, a dover ricostruire mattone su mattone la propria autonomia e a doversi far forza per prendersi cura dei bambini nati in quegli anni, tra una licenza ed una ripartenza, anche per conto di chi non è riuscito a sopravvivere.
Anni in cui non solo la Franciacorta, la Valle Camonica o la città di Brescia, ma tutta la nazione, dovrà rialzarsi con le proprie forze, abbandonata da chi l’aveva spedita al martirio e biasimata da chi ritiene non sia stato fatto abbastanza per conquistare le terre nemiche.
Il romanzo si chiude così, all’inizio degli anni ’30, lasciandoci in compagnia della famiglia Fontana riunita tra le mura della propria cascina in campagna, a sognare un mondo adatto ai propri figli e ai propri nipoti, a sperare in un domani più roseo e in una vita migliore per tutti.
Anche se, in lontananza, echi di rivolta da una parte d’Europa cominciano a farsi sentire. Echi di uomini in camicia nera, di uomini che scendono in strada per salutare un giovane politico tedesco, che tanto piaceva al popolo germanico.
Il suo nome era Adolf, e non preannunciava nulla di buono nemmeno per la nostra povera Italia, come anche la famiglia Fontana avrà modo di sperimentare nel romanzo successivo della saga intitolato “Figli della lupa”.
Personale, locale, nazionale, universale
La città di Brescia e tutta la sua provincia sono protagoniste indiscusse di questo romanzo, insieme alla famiglia dei Fontana di cui il romanzo racconta le vicende personali.
Brescia accoglie a braccia aperte i giovani Fontana, dando loro la possibilità di studiare, di trovare un lavoro, di coltivare amicizie disinteressate e di scovare l’amore. Ma Brescia è anche capace di lasciarli andare, di accettare che essi si allontanino dai confini del proprio Castello per spingerli tra le braccia delle montagne trentine e friulane, sino ai vicoli di Caporetto o alle vie di Fiume.
Ed è qui che i Fontana ed il paese intero, Brescia e l’Italia, arrivano in un certo senso a fondersi: nell’evolversi delle situazioni, nella condivisione della tragedia. Tutti chiamati a subire gli eventi, e quindi a rialzarsi anche dopo essere caduti innumerevoli volte.
Perché è l’anima del paese tutto ad essere martoriata, smembrata, fatta a pezzi e gettata nei torrenti, con la convinzione che nessuno l’avrebbe trovata.
Una Storia fatta dagli errori (e dagli orrori)
Ed invece ecco che l’anima del paese si rialza, si ricompone, si risolleva e mostra il capo “fiera” dei propri errori
Errori fatti di giovani mandati in guerra senza aver mai visto un fucile; di giovani obbligati a scalare montagne con scale di corda, sapendo che il nemico li guardava dalla cima; di giovani donne violentate e abbandonate, sfruttate per un divertimento tra soldati; di giovani madri costrette a fuggire, pena la separazione dai propri figli, figli di nessuno, figli della guerra, figli cresciuti da padri che se ne prendono la responsabilità morale senza averne quella materiale.
Errori fatti di uomini, ragazzi, bambini ritrovati con senza gambe, senza braccia, senza volti, feriti da armi meno potenti delle nostre ma tanto più maneggevoli. Perchè mandare al fronte soldati con le mitragliatrici e i carri armati in battaglie che si svolgono in montagna non è solo da scellerati, ma è da gente consapevole che sarebbero morti. Tutti.
Errori fatti di soldati che non sono più tornati a casa, abbandonati tra i monti, nei laghi, nei fiumi. Riassemblati alla bell’e meglio in casse di legno e ricordati nei tanti monumenti ai Caduti da lacrime di donne che non hanno altro posto dove piangere il loro amato.
Errori. Perché la guerra è essa stessa l’errore.
E Francesca Scotti, in questo romanzo, ce lo mostra in tutto il suo orrore.
Francesca Scotti: una narratrice bresciana dal cuore grande
Francesca Scotti nasce a Brescia nel 1991 e si laurea in lingua a letteratura inglese e tedesca all’Università Cattolica della città.
Oltre alla letteratura, la sua più grande passione è la storia, fatto dimostrato ampiamente da questo romanzo che si basa anche su un lavoro di studio e di raccolta dei dati e delle informazioni notevole.
Se le descrizioni storiche ma anche geografiche sono al limite della perfezione, sono forse i piccoli particolari e gli aneddoti snocciolati lungo il romanzo ad essere ancora più lodevoli al punto da meritare una menzione particolare.
Titolo: Vento porpora
Autore: Francesca Scotti
Editore: Edikit, 2020
Genere: Saga familiare
Pagine: 586
Isbn: 9788898423965
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