San Faustino e Giovita salvatori della città: storia di una “apparizione invisibile” tra fonti storiche e leggenda

A cura di Silvia Lorenzini per Brescia si legge

PRESSO LE FORTIFICAZIONI DEL ROVEROTTO / GLI ILLUSTRI MARTIRI DI CRISTO FAUSTINO / E GIOVITA FURONO VISTI DAI NEMICI / IN DIFESA DEI LORO CONCITTADINI / E DELLE MURA COMBATTERE / TUTTI GLI ABITANTI DI BRESCIA PER UN COSI GRANDE MIRACOLO E PER PUBBLICA DEVOZIONE FECERO COSTRUIRE / QUESTO NELL’ANNO 1438 / MESE DI DICEMBRE APPARVE

Questo il senso dell’iscrizione latina incisa sul monumento dedicato ai santi patroni di Brescia, Faustino e Giovita, che si trova nei giardini della Pusterla, lungo la strada che conduce al castello da piazzale Arnaldo.

Il monumento fu eretto a testimonianza dell’affetto dei Bresciani verso i santi patroni che, come si legge, intervennero in maniera decisiva nella difesa delle mura, inducendo il nemico a levare le tende e desistere dal lungo assedio che stava mettendo in ginocchio la città. Molti noi, passando di lì, avranno notato il manufatto di pietra che, in una lastra sovrastante l’epigrafe, raffigura i patroni nelle vesti di due giovani soldati.

Ma come nacque la tradizione che attribuisce a San Faustino e a San Giovita il ruolo di difensori della città, e che ha reso i due giovani martiri romani a diventare – molti secoli dopo la loro esistenza storica – i patroni della città di Brescia? Come viene raccontato questo evento memorabile nelle fonti del tempo, e come è stato interpretato nei secoli questo episodio sospeso tra storia e leggenda?

L’assedio del 1438 nelle parole di Cristoforo Soldo, cronista bresciano e testimone oculare

Il prodigio ricordato si riferisce ai fatti d’arme del 1438, allorché Niccolò Piccinino, al soldo di Filippo Maria Visconti duca di Milano, sferrò un lungo attacco per sottrarre Brescia dalla sfera di influenza della Serenissima Repubblica di Venezia.

L’assedio fu durissimo e la difesa della città disperata. Fra le varie fonti che raccontano, con accenti diversi, l’accaduto, la Cronaca del bresciano Cristoforo Soldo costituisce una delle narrazioni più dettagliate, avvalorata dalla circostanza che il Soldo stesso si trovava in Brescia in quelle drammatiche circostanze. “Alli 18 de novembrio“, ricorda il Soldo, “comenzorno a bombardar la terra, et coraenzorno a tirar a Canton Mombello con quattro bombarde grosse”. 

La città si trovava in quel periodo in un momento di particolare debolezza a causa di una pestilenza che era iniziata ad agosto: molti uomini erano morti, molti cercavano di abbandonare Brescia per scampare al contagio, con il benestare delle autorità che intendevano in questo modo slezerir la citade de bocche. Il Soldo stima, dunque, che, nell’autunno inoltrato di quell’anno, non vi fossero in città più che duemila persone adatte alla difesa e, di queste, solo ottocento armate. I restanti, commenta, era tanta povera gente.

Brescia fu investita dalla pioggia di fuoco delle bombarde e l’enorme sforzo dei cittadini si concentrò sulla difesa delle mura, ultimo baluardo della salvezza. Ogni giorno se bombardava, scrive, ogni giorno si faseva grande scaramuze. La resistenza al nemico richiese il massimo sforzo della popolazione:

Tutta la Roccha de Tor longa com la torre andò per terra; e tutto lo populo sempre, dì et notte, ma più de notte, non faseva altro se non far repari de letame, de fassine, de terreno.

Cronaca (1437-1468), di Cristoforo Soldo

Nella carneficina, ciascuno, anche donne e bambini, facevano la loro parte per aiutare:

Voi vedevati portar li morti, mo uno da la bombarda, mo uno da uno sciopetto, mo un altro da uno veretone; mo mezo uno altro dala bombarda, l’altro mezo non se accattava […] Non è alchuno sì securo che non fusse stremito fin nelle ungie di piedi. Haverestu veduto lo populo, femine,  zerlotti, picenni et grandi, che corrivano zoso ai logi dove se dava la battaglia, chi com pane, chi con formagio, chi com vino, chi com confetto, per refrescare quelli citadini batanti et quelli soldati che era com noi

Cronaca (1437-1468), di Cristoforo Soldo

Una breccia nelle mura e un’invisibile apparizione

Lo scontro definitivo ebbe luogo il 13 e il 14 dicembre, quando le truppe del Piccinino sferrarono un assalto sul lato est della città: Mombello, Porta Torre Longa e Ravarotto (così appunto era chiamata la località dove ora si trova il monumento ai santi patroni). Come ci attestano le Provisioni, i Bresciani si attendevano un attacco in quel punto e non si lasciarono trovare impreparati. In particolare, ricorda il Soldo, una bombarda piazzata a porta Torrelunga fece una tale strage che si potevano vedere volare per aria bracciali, celate, elmetti, gambe, piedi, teste, in tanto che ‘la portò fina nel Brolo del Vescovo di elmetti pieni de cervelli. I Bresciani si batterono come lioni,

ma com la gratia de Dio noi obtegnessemo e com puocho danno; ma de loro non si potria scriver tanti morti e feriti che ne fu.

Cronaca (1437-1468), di Cristoforo Soldo

Domenica 14 dicembre la furia degli assedianti, confortati dall’arrivo dei rinforzi, si concentrò sulla zona del Ravarotto, dove alcuni fanti iniziarono a penetrare in città attraverso una breccia nelle mura, rovesciando un barile infuocato di polvere di bombarda sui difensori. Come i Bresciani riuscirono a resistere non lo sa spiegare neppure il Soldo che, anzi, commenta:

mi Christophoro de Soldo, auctore di questa scrittura, vidi che se li inimici non havesseno habuto paura de esser taliati a pezzi, sariano intrati dentro per forza. Lo hebbeno in bailia uno para de fiade. Ma pur non se poteno’ obtegnir suso.

Cronaca (1437-1468), di Cristoforo Soldo

Insomma, i nemici furono sul punto di conquistare la posizione, ma per mancanza di coraggio ( o, forse, per l’eccezionale coraggio dei Bresciani), l’impresa non riuscì. Il giorno dopo

despiantorno tutte le bombarde e le menomo via; e mandeteno via ogni altro apparacchiamente dil campo.

Dal racconto del Soldo, dunque, la vittoria bresciana fu determinata senza dubbio dal valore dei suoi concittadini. La circostanza di un’apparizione prodigiosa vista dai nemici (come specifica il monumento al Roverotto) non viene neppure accennata. Allo stesso modo, non accenna al fatto neppure il vicentino Evangelista Manelmo (autore del Commentariolum de quibusdam gestis in bello Gallico seu De obsidione Brixiae, an.1438), collaboratore di Francesco Barbero, capitano veneziano, ossia dell’uomo che, in quei giorni, aveva guidato la resistenza dei Bresciani.

La nascita di una leggenda cara ai bresciani

La notizia dell’intervento dei patroni iniziò a circolare forse fra il popolo, sull’onda dell’entusiasmo per la vittoria. Ciò che è certo è che gli stessi documenti ufficiali delle Provisioni di Brescia riconoscono, in data 15 dicembre, il sostegno della Madonna, dei martiri Faustino e Giovita e di tutti i santi nello scontro contro gli attacchi del Piccinino e che, qualche mese dopo, si decise di inviare a Venezia uno stendardo raffigurante il Leone di San Marco e le insegne del Comune accompagnate dalle immagini dei santi patroni.

Senza voler ripercorrere le vicende delle varie versioni relative al ruolo avuto dai patroni nell’assedio (per cui si rimanda all’interessantissimo volume a cura di Nicolangelo D’Acunto, Anatomia di un miracolo. I santi Faustino e Giovita all’assedio di Brescia, Morcelliana, 2019, già recensito qui), va detto che la fama dell’intervento dei santi (divenuti nel frattempo patroni della città, con conseguente “de-classamento” del patrono precedente San Filastrio) a partire dal Cinquecento appare essere oramai notizia nota.

Tutti i vari scrittori che fanno menzione di questo prodigio (e non tutti lo fanno) concordano però su un medesimo punto: i santi difensori delle mura delle città furono visti, come è chiaramente ricordato al Roverotto, dai nemici e non dai Bresciani.

Così, ad esempio, Marin Sanudo nel suo Itinerario per la Terraferma veneziana, compilato nel 1483, dimostra di accogliere la notizia popolare, ricordando, accanto ai santi Faustino e Giovita, Sant’Apollonio che, secondo la tradizione, era colui che aveva convertito i due patroni al cristianesimo. Lo storico bresciano Elia Capriolo accenna all’evento prodigioso nella Chronica de rebus Brixianorum, raccontando che, secondo le voci che circolarono, i nemici avevano visto sopra il muro del forte di Sant’Apollonio, due figure divine (duo numina) in forma di combattenti e che in seguito (postea) esse furono ritenute San Faustino e Giovita.

Un’apparizione dalla forte valenza politica

A inizio novecento lo storico Paolo Guerini spiegò il particolare dell’apparizione dei santi ai soli nemici, avanzando l’ipotesi che la leggenda fosse stata messa in circolazione dallo stesso Piccinino, allo scopo di sminuire lo smacco subito (Brixia Sacra, 1923, vol. XIV): l’intervento divino avrebbe in un certo senso reso giustificabile la sconfitta, risultato non di imperizia militare o vigliaccheria, ma della volontà celeste. Gli studi moderni, però, preferiscono vedere nella nascita della leggenda un’abile manovra delle autorità locali che, in tal modo, poterono esaltare come benedetta dal cielo l’eroica resistenza della popolazione e, conseguentemente, la fedeltà di Brescia a Venezia. Insomma, un’ottima occasione per avvalorare l’importanza di Brescia e del suo popolo agli occhi del senato veneto, confortata anche dal fatto che i Bresciani, che presumibilmente non avevano visto alcuna apparizione, andavano particolarmente fieri di quanto compiuto in quei giorni. 

Nel corso del Seicento l’interesse a mantenere viva la tradizione della leggenda venne soprattutto da alcuni ambiti ecclesiastici. Ad esempio, Bernardino Faino, (autore, fra l’altro, di opere agiografiche celebrative dei vari santi bresciani), nel suo Vita delli santi fratelli martiri sacrati a Dio Faustino et Giovita primi (Giacomo Turlino, Brescia 1670), intrecciando liberamente le vicende dei santi Faustino e Giovita con quella della città, dedica risalto all’episodio dell’assedio del 1438, così raccontando:

Nell’anno poi 1438 essendo stata assediata Bresca per più di duoi anni da forte essercito milanese, per ricuperarla a quel ducato dalle mani de Venetiani, guidato da quel famoso guerriere Nicolò Picinino, e ritrovandosi perciò ridotti a gli estremi bisogni della vita stessa e alli più stretti periodi di bisognare rendersi, per non haver più con che cibarsi, havendo fornito gli animali d’ogni sorte che nella città si trovavano, non che il grano e per estrema necessità cibandosi con parsimonia fino a carne di sorzi, comparvero gloriosi il giorno di santa Lucia su le mura della città verso San Fiorano in faccio dell’inimico gli nostri santi protettori Faustino e Giovita in habito militare, come pure fu scritto e anco espresso in pittura, divinamente difendendo la loro patria con la total rovina di quell’essercito, che vedendo lampeggiare luce divina d’intorno a gli due potentissimi defensori, intendendo ch’il Cielo guerreggiava per noi Bresciani, il giorno seguente dileguatosi via in altre parti quell’essercito, rimase da i santi medemi liberata la città.

Vita delli santi fratelli martiri sacrati a Dio Faustino et Giovita primi, di Bernardino Faino (1670)

Nel corso dei secoli seguenti varie voci espressero la loro opinione, anche critica, riguardo alla leggenda che oramai si era sempre più affermata nel culto popolare: fra gli altri, Ottavio Rossi, Giovanni Francesco Gambara, Paolo Brognoli, Giambattista da Ponte, Giovanni Battista Rodella Baldassarre Zamboni, lo stesso cardinale Querini.

Le dotte discussioni che sono nate attorno a questo avvenimento leggendario (e che continuano a sostenere studi storici contemporanei), del resto, non sono altro che un segno dell’attaccamento dei Bresciani alla loro città e del loro senso di appartenenza a una comunità. Ed è così, dunque, che una leggenda nata in un momento di esaltazione collettiva, anche e soprattutto per fini politici, servì allora a rinsaldare una comunità stremata dalle perdite e dalle privazioni subite in guerra; quella stessa leggenda che in passato ha creato, e oggi mantiene, una memoria storica condivisa con piacere e orgoglio e che ogni 15 febbraio viene rinnovata nel giorno della festa dei patroni.

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Silvia Lorenzini

Bresciana, laureata in Lettere Classiche presso l'Università di Pavia. Ha trascorso anni a girovagare fra la Germania e l'Inghilterra per ragioni di studio, di lavoro e di amore. Dal 2005 insegna Italiano e Latino in uno dei licei cittadini. Appassionata di storia locale, adora la montagna, la musica, i libri e non saprebbe vivere se le mancasse anche solo una di queste tre cose.

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