Manfredi, l’Antonia e il mare di Brescia nello straordinario esordio letterario di Filippo Ronca edito da Mondadori

Sei così bella, sei così una vallata piena di vento, che io mi sento, te l’ho detto, non sono bravo a dare un nome alle sensazioni, lo sappiamo già, ma adesso, sì, mi pare di sì, rispetto al tuo essere una maestà, una maestà di sale su una zattera a largo di Marsala, io mi sento un coglione e mi si intrecciano le dita delle mani nel dirlo. Nel dire queste parole, che si mischiano con le tue parole. E io le sento tutte, le tue parole. Perché tu, atterrando dolcemente sul letto come una mongolfiera in questa Cappadocia di lenzuola, seduta, mi dici: “La nostra storia è finita, Manfredi”.

Filippo Ronca, Sembra che presto annegherò, pag. 22

Manfredi ama l’Antonia. L’Antonia ama Manfredi. Un giorno l’Antonia lascia Manfredi. Una semplice storia di amore e di dolore.

Ma il romanzo “Sembra che presto annegherò” (Mondadori, 2024) del bresciano Filippo Ronca (classe 1987) è in realtà molto, ma molto di più di una semplice storia. Innanzitutto, non è un romanzo, almeno non nel senso in cui usualmente si intende un romanzo. Secondariamente, non è una storia d’amore. È anche una storia d’amore, così come è anche una storia sull’amore, in cui si parla anche d’amore, ma senza mai nominarlo.

Manfredi e l’Antonia sono due giovani e vivono a Brescia. Si amano, convivono e un giorno si lasciano. La linea narrativa del libro è tenuissima: Manfredi soffre, Manfredi conosce altre ragazze, il tempo scorre. Dimenticherà? Tornerà l’Antonia? Sarà possibile amarsi ancora? Il punto è che Filippo Ronca, al suo esordio nella pubblicazione (e che esordio!) ha l’istinto del vero narratore, di colui che riesce a far diventare una storia meritevole di essere raccontata, letta e ricordata anche per il fatto più ordinario: una giornata di vento, il mercato del sabato, un buco sotto l’ascella del maglione, le chiavi che non si trovano nel portachiavi.

Il risultato è un’opera originalissima e personale, scritta in una lingua inconsueta, “imaginifica” (come avrebbe detto D’Annunzio, un altro illustre bresciano – ma d’adozione) ed efficacissima.

Prima di “Sembra che presto annegherò” Filippo Ronca (ex caliniano, laureato in Lettere e Filosofia, un lavoro come copywriter) non aveva scritto più che qualche racconto. Poi la frequentazione del corso “Trovare la sedia” presso la Scuola Karenin di Bologna. Obiettivo: scrivere un romanzo in un anno. Ronca racconta che, quando iniziò la scuola, non aveva in realtà nessuna idea di cosa avrebbe scritto perché non aveva nulla da raccontare. Poi sono nati Manfredi e l’Antonia, con questi nomi così importanti e inusuali, con quella “l-apostrofo” davanti ad Antonia che fa diventare il personaggio ancora più importante, una presenza che riempie ogni pagina del romanzo e ogni pensiero di Manfredi. E l’Antonia non può che ricordare lei, la poetessa Antonia Pozzi, l’Antonia raccontata da Paolo Cognetti, la scrittrice che Ronca non manca di citare nel suo libro.

La storia di Manfredi e dell’Antonia, spiega Ronca, nasce, dunque, prima di tutto ad alta voce, narrata ai compagni di corso, durante gli incontri. Esattamente come Manfredi narra un po’ a noi lettori e un po’ a se stesso l’avventura della sua anima.

Poi, giù in strada, in piedi accanto alla mia auto, con la notte ovunque, anche sui sedili, anche nel baule c’è la notte, mi viene in mente quel verso: Anima, andiamo, dice quella poesia.

“Andiamo” dico alla mia anima, e, come una voce che arriva da Plutone, una voce che ha attraversato i millenni, e gli imperi, e i testi sacri, i roghi e le morti, la mia anima- la sento nitida che mi spaventa- mi risponde: Manfredi, andiamo.

E poi l’anima, la mia anima, aggiunge, Che inizi il viaggio, Manfredi. E succede che io, l’auto ora è accesa, i fari ancora spenti, ma non so dove andare. Dove trasportarmi. Anima, andiamo, sì, ma dove?

Filippo Ronca, Sembra che presto annegherò, pag. 50

In un tono sospeso fra la giocosa follia e l’assorta malinconia, il libro è soprattutto la storia di una perdita. Manfredi perde l’Antonia e chissà forse che l’Antonia torni, come Godot o come il leone Aslan, a sistemare quanto perduto. Immerso in questa perdita, Manfredi si sente come un naufrago in mare sul punto di annegare, come in apnea, senza riuscire a respirare.

Strano a dirsi, infatti, per un libro ambientato nella padanissima Brescia, ma il libro di Ronca è anche un libro che racconta il mare. Manfredi, novello Odisseo, perde, si perde e, esattamente come Odisseo, si strugge per il desiderio di tornare.

Ma tornare dove? E soprattutto: prima di tornare, dove andare?

Senza la “barca” dell’Antonia su cui contare, (“credo che mi manchi il corpo dell’Antonia, sapere che è lì, nel buio, che nel naufragio, quando la mia barca affonda, che affonda tutte le notti, mi ci posso aggrappare”) Manfredi si impaurisce, si entusiasma, cerca appigli, esplora nuovi lidi, scruta quanto lasciato alle spalle, si interroga sulla rotta, si lascia confondere e riesce anche a meravigliarsi. E così scopre, fra le sorprese della navigazione, che anche a Brescia si può trovare il mare, dietro a un portone, proprio accanto a piazza della Loggia. Non occorre andare lontano, in fondo, per incontrare le proprie odissee.  

Brescia, la città dell’autore, del protagonista, della storia, ha un ruolo non di sfondo nella vicenda. È una città rivisitata dalla fantasia di Ronca, ma soprattutto benedetta e santificata in ogni dove, agli occhi di Manfredi, dalla presenza dell’Antonia: il primo incontro nell’aula magna del Liceo Calini, la passeggiata sul lago e le conversazioni con lei, i tavolini dei bar di Piazza Duomo da cui Manfredi, dopo mesi, scorge l’Antonia insieme a un altro uomo, e così via. Ronca si lascia trasportare dalla suggestione dei luoghi (e dei nomi), costruendoci attorno una personalità (sì, anche i luoghi hanno una personalità, come riesce bene a raccontare Ronca). Conoscete Vicolo Millefiori, vicino a Piazza della Loggia? “È un posto bellissimo, la gente il sabato pomeriggio cammina poco distante e non lo sa”. Ma l’avete mai vista la leucotea natalizia in Piazza Duomo? Vicolo dell’Orsa Maggiore no, quello non esiste, è il tentativo di Manfredi di trovare la sua Stella Polare, dopo che è tramontata l’Antonia.  

C’è comunque da stare tranquilli, perché se uno è morto perché gli faceva male il cuore o i polmoni, dopo, poi, dopo la morte, il cuore non gli fa più male e i polmoni vanno che è una meraviglia e può respirare tutti i profumi che vuole. I morti spesso vogliono respirare il profumo delle figlie, dei figli, ed è per questo che le figlie, i figli, al mattino si ritrovano spettinati. Del resto la morte, lo sanno tutti, è una cosa molto semplice, è il confine del dolore. L’inizio della tregua. I morti vengono a farti visita la sera, tra le dieci e le undici e mezzo. Se li vedi la mattina o al pomeriggio, no, è impossibile, ti sbagli.

Filippo Ronca, Sembra che presto annegherò, pag. 180

Come è evidente, storia e racconto non coincidono, dal momento che qualsiasi storia diviene diversa a seconda del racconto che ne facciamo: una storia ci può piacere, indipendentemente dal racconto che ne viene fatto, e viceversa. Nel particolarissimo racconto dell’odissea del naufrago Manfredi, la modalità narrativa conferisce un surplus di significato al testo, nel momento in cui diviene parte integrante del significato stesso. Ed è, infatti, il racconto di Manfredi a trasformare il dolore della perdita in presenza.

Manfredi è l’uomo che, per sua stessa ammissione, non è “bravo a dare un nome alle sensazioni”. E non sapendole nominare, le racconta, ricorrendo a una fantasmagoria di immagini. Così, ad esempio, si può essere tristi come…una zucca tagliata al supermercato. La domenica, poi, “se ti svegli presto e sei felice sembra… che tutti i bicchieri del mondo contengano acqua fresca. Le scarpe da running sembrano… un cavallo sul quale fuggo senza meta”.

Metafore, similitudini, analogie, mai banali, spiazzanti, leggere e potenti al tempo stesso si susseguono impetuose. La modulazione del ritmo narrativo, pacato nella prima parte, subisce una decisa accelerazione in corrispondenza di alcuni avvenimenti imprevisti che, all’incirca a metà del libro, scardinano l’andamento posato della vicenda. A quel punto i piani temporali iniziano a intersecarsi, così che il lettore, indotto a interrogarsi più volte su cosa stia realmente accadendo, è spinto a perdere i propri punti di riferimento, assumendo su di sé lo sconcerto che prova Manfredi.

La leggerezza del tono complessivo – e l’atmosfera trasognata che permea il testo – stempera il potenziale esplosivo dei temi trattati: abbandono, solitudine, dolore.  Anche la morte entra prepotentemente nel romanzo, la Perdita per definizione, verrebbe da dire, quella definitiva e irreparabile, adombrata nel titolo stesso del libro.

Eppure, ci svela Manfredi, è impossibile annegare, dopo aver conosciuto l’amore. L’amore ci chiama alla vita. E davvero, chi ha trovato la propria Antonia lo sa: da lì non si torna più indietro.

Scriveva Emily Dickinson, “Chi ama, non conosce morte.”


Titolo: Sembra che presto annegherò
Autore: Filippo Ronca
Editore: Mondadori, 2024

Genere: Narrativa
Pagine: 243
EAN: 9788804778004

Silvia Lorenzini

Bresciana, laureata in Lettere Classiche presso l'Università di Pavia. Ha trascorso anni a girovagare fra la Germania e l'Inghilterra per ragioni di studio, di lavoro e di amore. Dal 2005 insegna Italiano e Latino in uno dei licei cittadini. Appassionata di storia locale, adora la montagna, la musica, i libri e non saprebbe vivere se le mancasse anche solo una di queste tre cose.

Potrebbero interessarti anche...

Abilita notifiche OK No grazie