La ferocia dello squadrismo bresciano (1919-1922) “confessata” dai protagonisti (con pdf)

I nostri classici” sono una selezione arbitraria di libri bresciani usciti qualche tempo fa, che – per qualche motivo – hanno lasciato il segno.

Recensione di Andrea Franzoni per Brescia si legge

La cronaca tragica e brutale di tre anni di violenza e soprusi, dalla fondazione del Fascio di Brescia fino alla “conquista” della città nell’ambito del colpo di stato che portò Mussolini al governo (la cosiddetta “Marcia su Roma”, 28 ottobre 1922), raccontata con autocompiacimento dagli squadristi bresciani in un testo di propaganda del tempo.

“Storia del fascismo bresciano”, edito nel 1929 da Vannini ed oggi integralmente disponibile e scaricabile in pdf, è una cronaca dell’ascesa del fascismo a Brescia, scorribanda per scorribanda, scritta da Pier Alfonso Vecchia, comandante della squadraccia fascista dei “Lupi”.

Un “omaggio” ai fascisti bresciani della prima ora e ad Augusto Turati (leader dei fascisti bresciani trasferitosi poi a Roma per diventare Segretario del Partito Nazionale Fascista), ma anche una rivendicazione delle origini squadristiche del fascismo. Un testo crudo, che permette di confrontarsi senza alcuna mediazione o revisionismo con il linguaggio e con l’ideologia dei fascisti del tempo, ma anche un libro che suona oggi come una confessione e come una dimostrazione della natura intrinsecamente brutale e nefasta del fascismo, visibile già nei suoi esordi e nelle sue manifestazioni di provincia.

Un album dei ricordi per gli squadristi bresciani della prima ora

“La stanzetta e gli stambugi dove ci raccoglievamo non hanno ormai più il volto vero delle povere cose ma splendono come templi augusti e solenni: tutti illuminati dalla luce dello spirito. Di là mossero i disperati e gli audaci, incontro alla sfida contro il numero e la bestialità trionfante. Forti perché erano soli, vincitori perché sapevano credere”

Augusto Turati, prefazione di “Storia del fascismo bresciano”, p.9

Questa recensione non può che cominciare con un’avvertenza: a dispetto del titolo, questa “Storia del fascismo bresciano” non è un testo di Storia, bensì un libro realizzato con finalità propagandistiche ed autocelebrative.

Scritto da uno squadrista bresciano della prima ora (Pier Alfonso Vecchia), “Storia del fascismo bresciano” fu infatti pubblicato nel 1929 proprio con l’obiettivo di registrare e di rivendicare il contributo dato dagli squadristi all’affermazione del fascismo a Brescia.

Se da un lato leggere questa “Storia del fascismo bresciano” non permette di ricostruire in maniera oggettiva ciò che accadde, né le motivazioni che resero tutto ciò possibile, dall’altro leggere questo nero “album dei ricordi” (comprensivo di un ricco apparato fotografico) permette di fare un’esperienza se possibile ancora più interessante e disturbante mettendo il lettore in contatto diretto con il punto di vista, con la mentalità, con la violenza sprezzante e con la retorica dei fascisti del tempo.

Non solo. Da un lato, il lettore contemporaneo ha il vantaggio di conoscere già come quella “epopea di passione e giovinezza”, com’è definita nella prefazione l’ascesa del fascismo fondata sulla sopraffazione e sulla violenza, sarebbe andata a finire: con le leggi razziali, con la Seconda Guerra Mondiale, con l’onta della dominazione nazista, con un paese distrutto, con la guerra civile (se già non si può definire una prima guerra civile quella alimentata dallo squadrismo con l’avvicinarsi del fatidico 1922) e con i campi di concentramento. Inevitabile quindi leggere i resoconti trionfanti e autocompiaciuti degli squadristi di allora come una sorta di “confessione” involontaria non solo dei crimini commessi, ma anche di come il volto del fascismo sia stato mostruoso e criminale fin dai primordi e di come tutto l’orrore provocato negli anni a venire ne sia stato una naturale conseguenza.

Dall’altro, pur confrontandosi con un’epoca così diversa rispetto a quella contemporanea, il lettore contemporaneo non potrà non riconoscere nel racconto di quei tempi simboli, parole d’ordine, rituali e atteggiamenti che si sono tramandati con impressionante fedeltà fino ad oggi fino ad entrare a far parte della “cassetta degli attrezzi” dei gruppi neofascisti contemporanei. Solo per citare un esempio, il rituale del ‘Presente’ che compare a Brescia – come raccontato da Vecchia – già nel 1921, è ancora oggi, a un secolo di distanza, uno dei momenti chiave delle ricorrenze e delle adunate neofasciste.

La nascita del fascio di Brescia

“Storia del fascismo bresciano” inizia raccontando brevemente la genesi del fascismo italiano, rintracciadone le origini nell’interventismo che nel 1914 portò Mussolini ad abbandonare il Partito Socialista, in polemica con il suo pacifismo, raggrumando attorno a sé negli anni seguenti l’insoddisfazione per la “vittoria mutilata” e la crescente retorica nazionalista.  

Come noto, la culla del fascismo fu Milano, sede del quotidiano Il Popolo d’Italia fondato da Mussolini. La genesi del fascismo, come racconta compiaciuto anche Vecchia, fu caratterizzata fin da subito dalla veemenza e dalla violenza: non per nulla la prima manifestazione pubblica dei “fasci da combattimento” si ebbe nel 1919 con l’attacco violento nel cuore di Milano prima ad un grande corteo di lavoratori, e poi con il successivo assalto alla sede milanese del quotidiano socialista L’Avanti. 

A Brescia, la fondazione della sezione locale dei Fasci da combattimento ebbe come protagonista Alessandro Melchiori: carismatico diciottenne, figlio di un ufficiale del Regio Esercito ed abbonato a Il Popolo d’Italia, Melchiori fu in contatto epistolare fin dalla prima ora con Mussolini e fece negli anni una importante “carriera” partecipando ai primi congressi, all’avventura di Fiume ed alla segreteria nazionale del fascismo e poi della RSI (dopo il 25 aprile beneficiò dell’amnistia Togliatti e riparò in Brasile). 

Inizialmente composto da un manipolo di ragazzini (una foto di gruppo incornicia volti poco più che da adolescenti) e di reduci, il Fascio di Brescia nacque in ambienti studenteschi caratterizzandosi per un mix di violenza gratuita e provocatoria in chiave anti-socialista e di nazionalismo cavalcando in maniera abile alcuni temi caldi del tempo. 

Una delle prime manifestazioni del “fascio” bresciano risale già al 24 maggio 1919: due mesi esatti dalla fondazione dei “Fasci da combattimento” a Milano. In quell’occasione, una decina di giovani fascisti provarono a organizzare all’ingresso dell’Istituto Tecnico cittadino una commemorazione dell’anniversario dell’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Ignorati e quindi sopraffatti dalla maggioranza degli studenti che, non riconoscendosi nella celebrazione, forzarono il blocco per entrare a scuola, i fascisti si presentarono all’uscita da scuola coadiuvati da una manciata di adulti (ex militari) ed aggredirono gli studenti inermi a bastonate

Le prime prove di forza

“Berretti, cravatte svolazzanti, bastoni e nascoste rivoltelle sono l’espressione dello squadrista”

Pier Alfonso Vecchia, Storia del fascismo bresciano, p.69

Dopo aver raccontato le origini, il libro di Vecchia racconta l’evoluzione del fascismo Bresciano in maniera cronologica, procedendo in maniera sempre più serrata con il susseguirsi delle violenze, accennando all’evoluzione parallela del movimento a livello nazionale ed alle frequenti trasferte dei leader bresciani in costante contatto con Milano, con i gruppi fondati in provincia e con le altre sezioni del nord Italia. 

La cronaca asciutta accenna soltanto ad episodi che letti con il senno di poi appaiono, oltre che inquietanti, curiosi. Alla vigilia delle elezioni amministrative del 1920, ad esempio, i fascisti furono invitati dal quotidiano socialista “Brescia Nuova” a partecipare a un dibattito pubblico in piazza Loggia, secondo un’usanza in voga al tempo (il “dibattito” finì inevitabilmente in rissa). Nel marzo dello stesso anno, Brescia accolse invece tra grandi manifestazioni di solidarietà internazionalista un gruppo di orfani viennesi resi profughi dal recente conflitto, suscitando lo sdegno dei fascisti che per protesta contro-manifestarono in solidarietà ai bimbi fiumani.

Per quanto spesso abbozzati, tutti questi episodi che raccontano i primissimi anni del fascismo (spesso ben più crudi di quelli appena citati) permettono di percepire il clima di fermento che fu proprio dell’epoca del “biennio rosso” e della “questione fiumana”. Il resoconto di Vecchia, squadrista della prima ora, è molto attento ad esaltare continuamente le scorribande dei cosiddetti “patrioti”, dai primi assalti ai circoli ed ai cortei operai fino alle spedizioni punitive compiute in tutta provincia assaltando e bastonando contadini e braccianti. Tutti tratti caratteristici dell’agire squadrista che attraversano l’intero testo, in un’escalation rapidissima, dagli esordi alla fase più matura.

Giovinezza e acume strategico

Raccontati da loro stessi come minoritari, osteggiati e intimiditi sia dai “bolscevichi” che dall’esercito Regio, ostacolati dagli esponenti del Partito Popolare (il maggior ostacolo all’affermarsi del fascismo a Brescia, nelle parole di Augusto Turati) così come dai liberali “doppiogiochisti”, i fascisti della fase squadrista costruirono parte del loro mito (prima di diventare partito-massa) da un lato rappresentandosi come una minoranza di nobili e coraggiosi “patrioti” (termine utilizzato in maniera costante per auto-definirsi), dall’altro lavorando strategicamente sul proselitismo e sull’ampliamento del consenso

Nato in ambienti studenteschi, anche il fascismo bresciano non fu infatti mai davvero impreparato o spontaneista. Anche se la componente studentesca fu sempre rilevante (due delle Squadracce bresciane erano composte da giovanissimi di Avanguardia Studentesca), i giovani squadristi bresciani furono infatti fin da subito coordinati dalle strutture centrali del fascismo (negli snodi chiave compaiono spesso oratori e organizzatori inviati da Milano), oltre che sostenuti da personalità di primo piano della scena bresciana. Se già negli elenchi dei fascisti della prima ora non mancano “ingegneri e avvocati”, non si può infatti non sottolineare come il personaggio che fece fare il salto di qualità al fascismo bresciano fu infatti Augusto Turati, all’epoca già trentaduenne redattore dell’importante quotidiano liberale bresciano “La Sentinella”. 

Culto della violenza e vittimismo

Lo stesso culto della violenza, particolarmente accentuato nel momento storico in cui il libro fu scritto, si accompagnò con un ipocrita atteggiamento pacificatore e con il tentativo di rappresentare la violenza come una “legittima difesa” e come reazione ai soprusi degli “eversivi” (interessante che un movimento letteralmente eversivo attribuisse questa etichetta ai propri rivali) popolari e socialisti.

Se le prime manifestazioni del fascismo bresciano sembrarono più un tentativo di dare una (sovra)struttura alla voglia di menare le mani, con logiche e retoriche da gang o da banda giovanile, anche il modo in cui questa violenza venne esercitata divenne infatti rapidamente più consapevole e strategico. 

Il fascismo (che a Brescia ebbe come animatori della prima ora Melchiori e Turati, cioè giovani rampolli provenienti da famiglie di militari), nacque d’altronde fin dall’inizio rifacendosi a un immaginario e ad un’organizzazione paramilitare fatta di “squadre” (con nomi, motti, inni, gagliardetti e divise), di “parate” e di cameratismo.

Sempre in questo solco va intesa anche l’enfasi sul culto dei “martiri”: non per nulla, i “salti di qualità” del fascismo bresciano si collocano proprio in corrispondenza con le rare occasioni in cui gli squadristi subirono (o rischiarono di subire) delle perdite. E’ il caso del funerale di Faustino Lunardini, squadrista diciannovenne caduto in una rappresaglia nel maggio 1921 nei pressi di Ponte Mella, del fallito attentato a Turati nell’agosto del 1922 (che diede il via alla più estesa rappresaglia squadrista con l’assalto contemporaneo a 6 importanti circoli) e del funerale di Giuseppe Pogliaghi, altro squadrista morto (nei giorni della Marcia su Roma) mentre dava l’assalto al Circolo Panettieri del quartiere delle Pescherie.

In tutti questi casi, gli episodi fornirono ai leader del fascismo locale da un lato pretesti per ritorsioni ben più premeditate e violente, dall’altro la possibilità di presentarsi come pacificatori e nobili vittime della “violenza eversiva”.

Lo squadrismo e il movimento operaio e contadino bresciano

L’anno decisivo, anche per il fascismo bresciano, fu il 1922, anno culminato con la “Marcia su Roma e con la nomina da parte del Re di Mussolini come Primo Ministro (a soli tre anni e mezzo dalla fondazione dei Fasci di Combattimento).

Nel 1922, la violenza squadrista si rivolse infatti in maniera sempre più sistematica e coordinata contro esponenti del movimento contadino ed operaio, contro i tramvieri e contro gli “anti-fascisti” (termine al tempo già di uso comune) sia “rossi” che “bianchi”, in una lunga scia di sangue, di fuoco e di terrore

Come raccontato con dovizia di dettagli da Vecchia, i fascisti bresciani intervennero ad esempio in occasione di tutti i principali scioperi, sia in città che in provincia, intimidendo ed assalendo gli scioperanti, distruggendo le camere del lavoro, coordinando e scortando l’arrivo di “crumiri” provenienti da altre parti d’Italia (Polesine, Lomellina), sostituendosi in prima persona a tramvieri e ferrovieri in sciopero, “scortando” i treni e addirittura presentandosi a casa degli scioperanti per trascinarli con la forza al lavoro. Facendo, in questo modo, anche l’interesse (apparente) della classe media e dei “non politicizzati” ed accreditandosi come tutori dell’ordine e come custodi degli interessi economici.

Sempre più numerosi ed organizzati, capaci di coordinarsi e di muovere sul territorio con automobili e “camions” (ma anche in treno e in biciclette) centinaia di picchiatori provenienti da tutta la provincia bresciana, i fascisti si resero protagonisti in pochi mesi di decine di pagine di violenze e intimidazioni rivendicate e raccontate con dovizia di nomi e particolari sia nella prima parte del testo, dedicata alla storia dello squadrismo bresciano in generale, che nelle appendici del libro che contengono le “schede” delle Squadre cittadine e le note biografiche di tutti i singoli Fasci fondati nei comuni della provincia.

Dalla “notte dei cristalli” bresciana alla “Marcia su Brescia”

Tutte le squadre hanno risposto all’appello: Brescia con le sue «Lupi», «Disperata», «Me ne frego», «Corridoni» e «Angelino Bozzi»; Acqualunga, Bagnolo, Bagolino, Breno, Calcinato, Calvisano, Capriano, Carpenedolo, Castegnato, Ceto, Chiari, Ciliverghe, Collio, Corticelle, Desenzano, Edolo, Gambara, Gardone R., Gardone V.T., Gargnano, Ghedi, Gottolengo, Iseo, Isorella, Leno, Lonato, Manerbio, Montichiari, Montirone, Orzionuovi, Orzivecchi, Palazzolo, Pavone, Pisogne, Ponte di Legno, Pontevico, Porzano, Pozzolengo, Pralboino, Remedello, Rivoltella, Salò, San Gervasio, Seniga, Sirmione, Toscolano, Verolanuova, Verolavecchia, Villachiara, Visano.

Pier Alfonso Vecchia, Storia del fascismo bresciano, p.137

La situazione degenerò gradualmente ma rapidamente, fino a culminare con i fatti del 6 agosto 1922: una sorta di “notte dei cristalli” bresciana, che mostrò il potere ormai incontrastato dello squadrismo e che spezzò le gambe del movimento sindacale, operaio e contadino bresciano.

In risposta a un tentativo di attentato a Augusto Turati (due uomini non identificati gli lanciarono contro due bombe che non esplosero), le diverse squadracce fasciste confluita da Brescia da tutta la provincia già nei giorni precedenti, per ostacolare un grosso sciopero generale (il cosiddetto “sciopero legalitario” del primo agosto 1922), assalirono ed incendiarono quasi in contemporanea e senza incontrare resistenza la sede socialista e Casa del Popolo di via Marsala, inaugurata pochi mesi prima, il Circolo lavoratori della terra di Piazza Garibaldi, la Camera del Lavoro Confederale di via Grazie, la Cooperativa dei Ferrovieri di via Lattanzio Gambara, il Circolo Socialista di Sant’Eustacchio e il Circolo Panettieri di vicolo Sant’Ambrogio (nel quartiere delle Pescherie).

Fu solo un anticipo di ciò che accadde il 28 ottobre, in concomitanza con la Marcia su Roma. Mentre il primo ministro Facta rassegnava le dimissioni, ed in re si apprestava a offrire l’incarico di affidare il nuovo governo a Mussolini, a Brescia centinaia di fascisti realizzavano su scala locale un “colpo di stato” convergendo dalle campagne al capoluogo per occupare gli snodi strategici ed in particolare due obiettivi simbolici: la Casa del Popolo di via Marsala (sede socialista) e la sede del quotidiano cattolico/popolare “Il Cittadino”.

Proprio qui, nel cuore un tempo pulsante di una città silenziata, giunsero verso le 20.30 del 29 ottobre in automobile le staffette provenienti da Milano recanti con sé notizia dell’incarico affidato dal re a Benito Mussolini.


Titolo: Storia del fascismo bresciano
Autore: Pier Alfonso Vecchia
Editore: Giulio Vannini Editore, 1929

Genere: Propaganda / Memoir
Pagine: 287

Andrea Franzoni

Nato negli anni ’80, vive in equilibrio tra Brescia e Milano. Sociologo di formazione ed attivista per necessità, lavora in una multinazionale del marketing e della comunicazione continuando a coltivare parallelamente la sua passione per le storie ed il desiderio velleitario di contribuire a rendere la città natale un po' più aperta e consapevole. Prima di fondare "Brescia si legge", ha pubblicato un romanzo distopico (Educazione Padana, 2018) e una raccolta di racconti ('I forestieri e l'anima della città. Storie di migranti a Brescia nella seconda metà dell'800', 2019).

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