Sui monti ventosi per resistere e lottare: storia della brigata Perlasca nell’epico saggio di Emilio Arduino
“I nostri classici” sono una selezione arbitraria di libri bresciani usciti qualche tempo fa, che – per qualche motivo – hanno lasciato il segno.
Recensione di Francesca Scotti per Brescia si legge
1° agosto 1944. Nei pressi della Corna Blacca, il resistente Toni Doregatti convoca i capigruppo delle cellule partigiane stanziate tra la Valtrompia e la Valsabbia e costituisce la brigata Giacomo Perlasca delle Fiamme Verdi bresciane. Di vocazione apartitica, la brigata è un agglomerato di ragazzi e di giovani uomini che hanno detto no alla cooperazione coi nazisti e all’obbedienza nei confronti della fascista Repubblica sociale.
Di quei “ribelli per amore” ci parla proprio uno di loro, Emilio Arduino, salito in montagna con il fratello Federico in seguito ai fatti dell’8 settembre 1943. Il suo “Brigata Perlasca” (prima edizione: Vittorio Gatti Editore, 1946), scritto a solo un anno dalla liberazione, propone un’attenta cronistoria della resistenza di parte delle Fiamme Verdi in Valtrompia e in Valsabbia.
Con una penna limpida e appassionante, l’autore delinea i contorni della lotta resistenziale nella sua quotidianità, nelle sue asprezze continue, nei suoi impedimenti e nelle sue ardite azioni di guerriglia e di sabotaggio.
Riflessioni puntuali accompagnano concitate cronache di rastrellamenti e rievocazioni di momenti tragici, che si alternano tuttavia ad aneddoti più leggeri e quasi comici, oltre che a piccoli quadri di ordinaria convivenza. Il tutto imbevuto di lampi di scrittura fenogliana, vivida e fortemente antiretorica.
Un tributo ai numerosi caduti della brigata Perlasca, a tutti i suoi combattenti, ai collaboratori e alle collaboratrici che hanno reso possibile la resistenza nelle valli bresciane. Una pietra miliare che si lascia leggere con interesse e coinvolgimento pure a distanza di anni dalla sua stesura.
Tutto è iniziato con te, capitano Zenith
Giacomo Perlasca, classe 1919, studente bresciano di ingegneria elettrotecnica e sottotenente di artiglieria. Dopo l’8 settembre 1943, si reca immediatamente in montagna, riuscendo nell’arduo intento di coordinare i primi sparuti gruppi di resistenti affluiti in Valtrompia.
Le bande di ribelli sono costituite da giovani che intendono sfuggire alla chiamata della Repubblica sociale, da membri della popolazione locale spinti da ideali antifascisti, da ex prigionieri di guerra evasi dalle carceri e in attesa di essere condotti oltre il confine per riparare in Svizzera.
Tornate ad immaginare due o tre casine, lontane una, due ore fra di loro, prive di qualsiasi collegamento sia reciproco, sia col fondovalle. In ognuna di queste casine immaginate otto, nove, dieci uomini che neppure si conoscono, il cui armamento complessivo è rappresentato da un mitra senza colpi, da due moschetti arrugginiti, da una pistola a tamburo […]. La preoccupazione fondamentale di questi individui è di trovare il modo di spegnere la fame villana che disturba noiosamente i loro intestini […]. Senza guardia, senza binocoli, senza notizie, senza munizioni…
Emilio Arduino, “Brigata Perlasca”, pp. 32-33
Con l’aiuto degli antifascisti Mario Bettinzoli e André Petitpierre, Perlasca raggruppa e tiene uniti gli uomini accorsi in montagna, proponendosi come un integerrimo modello da seguire. Assume il nome di battaglia di Zenith e si cimenta così in una continua spola fra i monti e la città, per recuperare armi, munizioni e quant’altro di necessario alla lotta e alla sussistenza delle bande.
È proprio durante uno di questi numerosi spostamenti che, il 18 gennaio 1944, viene arrestato dalla polizia fascista, probabilmente a causa di delazioni. Interrogato e torturato, non si lascia sfuggire una parola su quei ragazzi e giovani uomini che ha sostenuto, confortato e spronato a resistere e a combattere. Il 24 febbraio, è fucilato insieme al compagno Bettinzoli.
Alla morte di Perlasca, gran parte dei gruppi resistenziali tra Valtrompia e Valsabbia si sfascia. Ma il movimento di resistenza, seppur provato, non muore. L’esempio di Perlasca e di Bettinzoli, bagnato nel sangue, porta a maturazione i suoi frutti preziosi nell’estate del 1944.
E così ad agosto, al cospetto della Corna Blacca, il colosso di roccia cruda che separa Valtrompia e Valsabbia, il resistente Ennio (Toni) Doregatti riunisce i capigruppo delle cellule resistenziali sparse nelle due valli. Doregatti definisce questioni materiali e logistiche necessarie al futuro della resistenza nella zona, invita a un giuramento, assegna una sigla a ciascun gruppo e dichiara ufficialmente costituita la brigata Giacomo Perlasca, divisione della brigata Tito Speri delle Fiamme Verdi bresciane.
L’aspra lotta per la libertà – e per la sopravvivenza
Chi seppe intendere e vivere quella ribellione, gettò nella mediocrità della propria esistenza un impareggiabile lampo di giovinezza e di poesia.
Emilio Arduino, “Brigata Perlasca”, pp. 21-22
Un’affermazione genuina e folgorante, che basterebbe da sola a racchiudere il senso del movimento resistenziale di tutte le brigate e di tutte le regioni italiane. Il senso di un atto di disobbedienza morale e civica ancor prima che politica e che drasticamente scava un abisso tra due fronti contrapposti.
L’autore non manca di toccare il doloroso tema delle spie, responsabili di rastrellamenti oculati che, oltre a comportare la cattura e la morte di molti resistenti, disperdono le risorse materiali accumulate con gran fatica dai resistenti.
Il più grave rastrellamento operato dalle forze nazifasciste ai danni della brigata Perlasca ha luogo il 26 agosto 1944 nella zona della Corna Blacca e dell’alto Maniva. Il gruppo S2 del Paio Alto perde Tita Secchi, il suo caposquadra, oltre che il disertore della Wehrmacht Hermann e il giovanissimo Amerigo (Rigo) Bagozzi. Sono catturati e quindi fucilati con Tita Secchi a Brescia il 16 settembre anche altre cinque Fiamme Verdi: Emilio Bellardini, Paolo Maglia, Pietro Albertini, Luigi Ragazzo e Santo La Corte.
È un colpo durissimo da incassare per la brigata, a solo poco tempo dalla sua costituzione. Ciononostante, i resistenti non abbandonano la lotta. Superano anche l’inverno del ’44, per poi tornare con vigore a resistere in primavera.
Con l’insurrezione generale di aprile, infine, presidiano i posti di blocco montani per impedire il passaggio delle truppe tedesche in ritirata e per costringere alla resa gli ultimi reparti di repubblichini che ancora non si sono consegnati.
«E noi li ricordiamo»
Per chi ci fu, quel giorno che tra le rocce silenziose della Corna Blacca vide l’atto ufficiale di nascita della brigata Perlasca, rappresenta qualche cosa di più che una piccola riga di storia. Di quegli uomini che si incontrarono allora presso quella diroccata casina, oggi metà sono morti. Qua e là fucilati, o impiccati, o uccisi a bastonate, o bruciati vivi. Non diciamo che siano eroi: il mondo regala con troppa facilità la tessera della gloria, salvo poi non praticare che l’abitudine della bassezza. E gli eroi sembrano tutti precisi, tutti alti alla stessa maniera, tutti con lo sguardo al sole, tutti in divisa… Macché, erano tutti diversi: uno fesso, uno brutto, uno frignone…
Ma sono morti, e potevano farne a meno, bastava che s’accontentassero di servire i padroni e di passare i giorni al Caffè. Come tanti altri. Ma invece non lo fecero, e così morirono. E noi li ricordiamo.
Emilio Arduino, “Brigata Perlasca”, pp. 48-49
Oggi, continuare a condividere e a proteggere i valori della resistenza è un dovuto atto di giustizia. È anche cercare di non incorrere in stereotipi e in inutili sfoggi di retorica, riconoscendo che l’essere umano porta con sé la sua luce e la sua tenebra in ogni tempo e luogo, in ogni situazione e su ogni fronte. Ma è pure saper ammettere che la disobbedienza costituiva l’unico atto giusto ed equo percorribile nell’Italia della Repubblica sociale e dell’occupazione nazista.
“Brigata Perlasca” è una bottiglietta che conserva l’odore intriso di terra e sangue di un passato che, anno dopo anno, non diventa mai lontano e che ha sempre infinitamente tanto da dirci, da ripeterci, da insegnarci.
È come una conchiglia da accostare all’orecchio, ma dal cui ventre non esce il respiro del mare, bensì il soffio ventoso dei monti della resistenza e il riverbero di voci giovani e belle, rudi e stravolte. Di voci di combattenti che hanno segnato la storia propria e degli altri.
È una scatola in cui il tempo è stato sigillato con cura e con devozione per i propri morti, e dentro c’è un’immensità: il ghiaccio feroce dell’inverno e la lama d’acciaio della paura, il verde ritrovato della primavera e il miracolo di un po’ di riso sul fondo raschiato di una padella, gli abiti sgualciti e impiastricciati di fango, le scaglie di sapone, gli scarponi da riparare e un lungo rosario di sangue, di cui ogni grano è una vita che non si replicherà e di cui rimane la grandezza di una disobbedienza pura.
Dieci amici senza documenti contro un esercito senza giustizia. E intorno, delle grandi montagne. E questo è bellissimo e triste, anche se non significa niente.
Emilio Arduino, “Brigata Perlasca”, p. 69
Ma questo, invece, significa tutto. E così noi vi ricordiamo, ribelli di un’epoca buia che non possiamo né dobbiamo dimenticare, perché ci indichiate la strada.
Titolo: Brigata Perlasca
Autore: Emilio Arduino
Editore: Prima edizione: Vittorio Gatti Editore, 1946 – il testo è ora disponibile nella versione pdf gratuita
Genere: Saggio
Pagine: 243
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