Una demo-antropologa alla scoperta del quartiere di San Bartolomeo: intervista a Michela Capra
Intervista a cura di Federico Migliorati per Brescia si legge
Uno studio accurato tra numerose fonti d’archivio ha consentito alla demo-antropologa bresciana Michela Capra di dare alle stampe, dopo circa 3 anni di lavoro, il libro “Vi sono due fiumi in questa parte di chiusure”, edito da Fondazione Civiltà Bresciana e Musil con il contributo di Fondazione Cariplo (acquista qui), che fa piena luce sull’economia, la società e la cultura materiale nell’antico Comune di San Bartolomeo (Brescia) con una guida ai luoghi di interesse storico.
Un volume ricchissimo di informazioni, dedicato ad un luogo specifico ma anche emblematico come San Bartolomeo: un quartiere (originariamente dai confini ben più estesi dell’attuale) nato come borgo agricolo esterno al nucleo urbano che ha però mostrato fin da tempi antichi, anche grazie alla presenza dei canali derivati dal Mella, una vocazione produttiva che l’ha reso uno dei luoghi più significativi della trasformazione di Brescia in città a vocazione industriale.
Ne abbiamo parlato direttamente con l’autrice, la demo-antropologa bresciana Michela Capra, che attualmente ricopre – tra l’altro – il ruolo di conservatore di Montichiari Musei.
Michela, come nasce questo voluminoso testo di quasi 400 pagine tutto dedicato alla realtà di una porzione del territorio bresciano cittadino?
L’opera in realtà si inserisce in un progetto promosso da tempo dal Musil e finanziato da Fondazione Cariplo dal titolo “Un giacimento culturale a cielo aperto: il quartiere di San Bartolomeo” che prevedeva il coinvolgimento di diverse professionalità e l’azione di volontari di vari enti per la promozione della storia locale.
Personalmente ho condotto diversi interventi in scuole superiori della zona con le quali ho affrontato la metodologia della ricerca storica locale e introdotto lo stato delle ricerche su San Bartolomeo e in particolare sulla siderurgia in epoca preindustriale. Si sono alternati anche interventi in Archivio di Stato affinché gli studenti conoscessero le mappe ottocentesche e sapessero leggerle. Da qui sono nate scoperte importanti sulle vocazioni artigianali, civili e agricole degli edifici dell’area in questione.
Devo sottolineare che una parte del progetto è stata demandata a Fondazione Civiltà Bresciana che è la proprietaria del Museo del ferro: in questo caso si è proceduto a un’indagine storica sulle caratteristiche del territorio e sulla vocazione della borgata.
Un incarico dunque particolarmente oneroso a livello di indagini e di studio. Come si è snodato questo percorso?
Sì, un incarico che parte esattamente nel febbraio 2017. Ho iniziato esaminando la ricerca attuale sugli aspetti storici di San Bartolomeo, che fu un Comune autonomo fino 1881 quando fu annesso alla città di Brescia, e sull’aspetto economico circa le tipologie di opifici presenti lungo i canali Bova e Grande Superiore (i ‘due fiumi’ richiamati nel titolo del volume) che prendevano le acque dal Mella. Fondamentali sono state anche la mia tesi di laurea e la collaborazione messa in atto al Museo del ferro per quanto riguarda la didattica nonché nella raccolta di testimonianze orale di operai ancora in vita e nella catalogazione dei reperti delle macchine del museo.
Sono poi iniziate indagini in Archivio di Stato confrontando diversi fondi archivistici in particolare di età veneta, cioè dal Quattrocento al Settecento, quando la siderurgia bresciana conobbe un periodo intenso prima della crisi dell’Ottocento: penso dunque ai fondi della cosiddetta “Università del fiume Bova”, in pratica un consorzio di opificeri nato intorno al Trecento che doveva dare una serie di regole e di partecipazione alle decisioni da parte dei frontisti, vale a dire i proprietari di strutture ubicate sul fiume.
Ho scoperto così, tra l’altro, il ruolo predominante del Comune di Brescia circa l’utilizzo delle acque, volute alla fine del Duecento dal vescovo Berardo Maggi per fornire di farine gli abitanti e consentire al Bova di ‘pulire’ e mantenere in igiene la zona dell’allora città murata.
Ho rintracciato preziosi documenti relativi all’elenco in epoca moderna, attorno al Seicento, della dislocazione dei salti d’acqua, vale a dire le ‘cascate’ formate dall’accumulo di acqua del canale a monte dell’opificio, che sono di fatto rimasti gli stessi per molti secoli anche se nel frattempo cambiarono le proprietà e le funzioni: troviamo così destinazioni per magli da ferro e da rame, molini da grano, torchi per la spremitura di semi di lino, ma anche segherie fino ad arrivare ai folli, sistemi usati sia per la conciatura di pellame sia per garantire spessore e impermeabilità alla lana di pecora, le cosiddette ‘gualchiere’. A questo mondo si rifacevano le manifatture di un tempo a cui lavoravano famiglie proprietarie di San Bartolomeo provenienti dalle vallate prealpine bresciane, ma con una forte immigrazione nel Quattro e Cinquecento dalle valli bergamasche che puntava a ‘integrare’ i lavori montani con quelli stagionali”.
Erano famiglie che si occupavano in particolare di quali lavorazioni?
Parliamo di un mondo variegato e interessante: si spaziava dalla forgiatura del ferro nei magli a quella del rame fondamentale per la creazione di recipienti destinati alla cottura dei cibi, ma anche ad attività che prevedevano l’utilizzo di mole sia per operare la brunitura del ferro sia per procedere alla smerigliatura e alla molatura vera e propria. C’era insomma una osmosi tra i vari territori, caratterizzati da emigrazione, scambi, movimenti di saperi e abilità lavorative.
Parallelamente allo studio di questa realtà è stato significativo analizzare, oltre a due catasti di metà Seicento e metà Settecento, le cosiddette polizze d’estimo, una sorta di dichiarazione dei redditi dell’epoca, che forniscono importanti dati quali nomi, provenienza, composizione delle famiglie, proprietà e confini: in questo modo è stato possibile ricostruire un flusso di informazioni a partire dal Quattrocento e sino alla fine dell’Ottocento che documenta il tessuto economico della zona.
È da precisare che anticamente il quartiere denominato San Bartolomeo non coincideva nei suoi confini con quello da noi conosciuto attualmente, è così?
Esattamente. Per “San Bartolomeo”, riferendoci a quello che era un Comune a sé stante, parliamo dell’attuale area che va sotto questo nome e che comprendeva anche Stocchetta, parte del Villaggio Prealpino, Borgo Trento (l’antico Borgo Pile), Casazza, Sant’Eustacchio e Via Veneto.
Tra i quartieri più interessanti cito Borgo Pile perché, durante la Serenissima, ospitò molti mercanti i quali erano dediti alla compravendita di cereali acquistati nelle pianure e rivenduti poi nelle vallate prealpine bresciane e bergamasche. Questo ambito, tra l’altro, costituirà l’oggetto di una mia prossima ricerca sempre per Fondazione Civiltà Bresciana e per la quale sono già all’opera.
E veniamo all’Ottocento.
Di questo secolo mi sono focalizzata sui catasti napoleonico, austriaco e del Regno d’Italia, fonti preziose di informazioni.
Già nella prima metà avvengono grandi trasformazioni della società e dell’economia con la conquista napoleonica senza dimenticare che molti dei mulini divengono concerie di pellame, a seguito dell’introduzione della tassa del macinato, dell’aumento dell’allevamento dei bovini e dell’enorme richiesta di pellame, appunto, senza dimenticare le innovazioni tecnologiche che nel frattempo si erano verificate. È un fenomeno, questo, che si intensificherà durante la Grande Guerra. Mi permetto una citazione personale che riguarda il mio bisnonno Giovanni Capra, originario di Padernello, che in via Filzi, a Borgo Trento, prese dimora acquistando un edificio e riattandolo a conceria.
Nell’Ottocento, inoltre, molti imprenditori svizzeri e tedeschi scendono in San Bartolomeo, attratti dagli sgravi fiscali, per innestarvi l’attività di lavorazione del pellame e della filatura del cotone e della seta: è il caso degli Hössli o dei Bæbler. L’avvento dell’energia elettrica nel Novecento cambierà nuovamente il modo di lavorare, ma questa è storia più recente.
Per non soddisfare qui tutte le curiosità dei lettori, lasciamo dunque le coordinate per poter acquistare il libro e continuare nella scoperta di un territorio così ricco di cultura.
Il volume è acquistabile al prezzo di 26 euro inviando una email all’indirizzo info@civiltabresciana.it e sarà spedito dopo l’effettuazione del bonifico, ma si può trovare anche sui principali canali di vendita online.
Titolo: «Vi sono due fiumi in questa parte di chiusure». Economia, società e cultura materiale nell’antico comune di San Bartolomeo (Brescia) e guida ai luoghi di interesse
Autrice: Michela Capra
Editore: Fondazione Civiltà Bresciana, 2020
Genere: Saggio storico
Pagine: 375
Isbn: 9788855901222
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