Il futuro può diventare un inferno anche quando vincono i buoni. Intervista agli scrittori Peli e Tevini
Intervista a cura di Andrea Franzoni per Brescia si legge
«Sai, è un bene che il Governo della Presa di Coscienza abbia stabilito che per i giovani questi passatempi siano sgradevolmente costosi. Una vita sana e retta dedita al lavoro, alla cultura e allo sport ti fa arrivare sano e salvo, per non dire saggio, alla Soglia. E poi si muore. Si muore sani e saggi, senza inutili sofferenze del corpo, senza rimbambire, tremare, pisciarsi addosso, litigare inutilmente coi parenti e via dicendo. E sai perché? Si muore saggi e sani perché è il momento giusto. Semplicemente. Banalmente. Dici addio ai cieli bianchi, alla terra nera. Addio. E soprattutto: lasci il posto a qualcun altro, che per decenni si renderà utile, risparmierà e arriverà anche lui alla sua amata Soglia»
Giovanni Peli e Stefano Tevini, “Sulla soglia” (Calibano, 2020)
Hanno vinto i buoni, ma il futuro è diventato un inferno. Un’imprevedibile presa di coscienza globale, motivata dalla necessità di salvare il pianeta, ha trasformato il mondo in una dittatura di tutto ciò che la borghesia progressista considera oggi giusto e buono: un vivere etico – imposto per legge ma anche profondamente sentito dagli abitanti di questo nuovo mondo – all’insegna degli stili di vita salutari, della sostenibilità ambientale, della decrescita e del risparmio. Ideali giusti che hanno però il primato su tutto, anche sulla vita: al punto tale che, a 64 anni di età, i cittadini vengono “soppressi” così da lasciare spazio a chi verrà dopo di loro alleggerendo l’impatto ambientale della specie umana.
“Sulla soglia” (Calibano, 2020 – acquista qui), il primo romanzo dell’inedita coppia composta dagli scrittori bresciani Giovanni Peli e Stefano Tevini, è un’opera che non lascia indifferenti: un testo avvincente ma anche “disturbante”, una provocazione, una sfida intellettuale che ci invita a conservare sempre lo spirito critico e a diffidare di tutto ciò che de-umanizza e riduce a strumento quello che deve invece rimanere sempre e solo un fine, cioè l’uomo.
Brescia si legge ne ha parlato con i due autori: Giovanni Peli, classe 1978, poeta, cantautore, bibliotecario ed editore; e Stefano Tevini, filosofo nato nel 1981, copywriter e scrittore specializzato nel genere distopico (l’editing è di un altro volto noto del panorama bresciano, lo scrittore Heiko H. Caimi). Autori che hanno scritto questo romanzo in coppia, donando alla narrazione una godibilità ed una rotondità figlia anche dei diversi background artistici che li caratterizzano.
Brescia si legge – “Sulla soglia” è un romanzo che si ascrive al genere distopico: rappresenta un mondo in parte simile al nostro, in cui alcune tendenze visibili nella nostra società sono però state portate alle estreme conseguenze assumendo contorni sinistri.
Il mondo che “Sulla soglia” racconta è un mondo in cui tutto ciò che non è giudicato efficiente, sostenibile e salutare, è stato abolito. Un mondo in cui il superfluo è stato abolito, ed in cui gli uomini sono considerati uno strumento (e non un fine), al punto tale che nel momento in cui cessano di essere “produttivi” (cioè raggiunta la soglia dei 64 anni) essi vengono soppressi per non gravare sull’ecosistema e per permettere – quindi – il benessere degli altri.
Qual è stata l’urgenza che vi ha spinti a raccontare un mondo del genere?
Giovanni Peli – L’idea di scrivere questo romanzo è nata almeno 5 anni fa per un progetto che si intitolava “l’ora in meno” e che ruotava attorno all’idea, presente nel romanzo, di un sistema in cui i cittadini vengono addormentati attraverso una droga per un’ora al giorno così da ridurre il loro impatto sull’ambiente. Si tratta di un tema che mi è frullato in testa per diversi anni, di un’idea che ho provato a sviluppare a modo mio (tra l’altro in forma poetica e attraverso la scrittura di una sceneggiatura) e che con il passare del tempo è diventata sempre più vivida e si è allargata. Soglia64 è nata così: a forza di continuare a togliere ore, evidentemente, si arriva a togliere anni, a togliere vita … da qui l’idea di un sistema organizzato che ha lo scopo di limitare nel modo più drastico l’impatto di ciascuno di noi sul pianeta.
Tra le suggestioni che si agitano in “Sulla soglia” c’è senz’altro anche il tema del “risparmio” cui facevi riferimento. Un risparmio necessario, ma anche in un certo senso subìto, con cui tutti siamo oggi comunque chiamati a fare i conti. Per fare un esempio, il tema del vegetarianesimo – inteso come modo migliore di utilizzare le risorse naturali – è un tema presente nel romanzo, ma anche nella mia vita – la mia compagna è vegetariana. Si tratta di un tema in sé sacrosanto, più che condivisibile – anche da chi, come me, è troppo debole per diventare vegetariano. E poi nell’idea di “risparmio” c’è anche l’idea del “togliere” che ha a molto a che fare con le difficoltà economiche, con l’aumento delle diseguaglianze (ben presente a chi lavora in ambito culturale) e quindi delle limitazioni che tutto ciò comporta, e potrà comportare in futuro.
Stefano Tevini. L’idea centrale per quanto mi riguarda non è stata quella di scrivere un romanzo distopico che parlasse di produttività, di decrescita o di movimenti para-ambientalisti nella loro accezione più estrema, ma quella di prendere un qualsiasi sistema di pensiero per mostrare come anche gli ideali più alti, se declinati contro l’uomo, finiscano per essere pericolosi, dolorosi, mortiferi tanto quanto gli altri. Anche i sistemi che apparentemente si pongono in contrasto con il capitalismo, ad esempio, corrono sempre il rischio di venire declinati poi nella realtà in una maniera tale da giungere a risultati opposti.
La scelta è stata quindi quella di creare un worst case scenario in cui mostrare come un sistema di pensiero ed un movimento, portato alle sue estreme conseguenze, possa finire per de-umanizzare gli esseri umani. E questo worst case scenario è stato creato a partire dalla suggestione, espressa in maniera scherzosa e paradossale da alcune frange para-ambientaliste, secondo cui per salvare il pianeta l’unica soluzione veramente efficace sarebbe l’estinzione della specie umana.
Brescia Si Legge – La particolarità di questo romanzo distopico, in effetti, è il fatto che, ad essere portato agli estremi non è un aspetto del presente considerato disturbante quanto piuttosto l’attenzione per l’ambiente e il primato del “bene comune”. Le limitazioni della libertà a cui i personaggi si sottopongono di buon grado, infatti, sono giustificate dal “Governo della Presa di Coscienza” con la necessità di raggiungere obiettivi nobili: limitare l’inquinamento ed il consumo di risorse, promuovere gli stili di vita sani, ridurre l’incidenza delle malattie e la sofferenza.
Questo libro è un modo per “mettere in discussione” queste istanze, dall’ambientalismo alla decrescita, oppure è un invito ad approcciarsi ad esse in maniera laica, senza perdere lo spirito critico e senza lasciare che l’ideologia prenda il sopravvento sui diritti individuali e sul buonsenso?
Giovanni Peli – Sinceramente me ne sono reso conto solo in un secondo momento, che questo libro potrebbe sembrare una critica a determinate istanze. Sicuramente, dietro la scelta di questo tema c’è un aspetto di provocazione, la volontà di fare il bastian contrario, un atteggiamento mio profondamente dissacrante e ironico. C’è anche il riflesso dell’enorme disillusione verso aspetti della politica che si vede in giro, una disillusione e uno smarrimento grosso che si percepisce e che in parte condivido. La tendenza a mettere in crisi tutto, a non fidarsi di nulla… anche perché abbiamo già visto troppe volte che la natura umana può sorprenderci in negativo anche quando le premesse sono buone.
Più che come una critica (a istanze, quelle “ambientaliste”, che io stesso in gran parte condivido), intenderei comunque questo romanzo come una provocazione che vuole mettere in guardia dalle fedi assolute. Perché anche nel migliore dei mondi possibili, che secondo noi è davvero prospettato dagli ideali ambientalisti, della decrescita, della sostenibilità (e voglio che quella sia la strada da percorrere), l’umanità continuerà per come la vedo io ad avere in sé una specie di germe negativo, una specie di malattia che non riesce a non saltar fuori e che quindi lo porta ad auto-sabotare ciò che di buono può fare.
“Sulla soglia” gioca su paradossi, ma mi pare faccia emergere in maniera forte anche un’altra idea: l’idea che la vita sia bella e che vada vissuta. I personaggi, infatti, sono mossi dalla passione che mette in crisi l’ideologia: questo della “passione” è un aspetto propositivo che li rende umani e che li fa muovere e reagire a una crisi continua, al conflitto tra i personaggi (specie tra padre e figlio), e nella società. L’attenzione all’umanità dei personaggi e ai legami familiari – cose molto profonde, che ho già sviscerato in contesti letterari e artistici completamente diversi – credo sia un ingrediente non molto frequente nei libri di genere distopico, e credo che uno degli aspetti interessanti di “Sulla soglia” sia anche quello di essere un incrocio di generi diversi.
Stefano Tevini – Sulla soglia non è certamente un libro contro le istanze ambientaliste, anche se ciò non significa che anche il movimento ambientalista non possa avere le sue criticità. Qui è stato tuttavia fatto un esperimento diverso: così come in tanta letteratura si tende ad umanizzare una figura negativa per mostrarne gli aspetti umani, noi abbiamo scelto di fare il percorso opposto e cioè di mostrificare qualcosa che è diffusamente ritenuto nobile e positivo.
Non ce l’abbiamo con l’ambientalismo in sé, quindi, per quanto è giusto che anche questa causa non venga sposata in maniera acritica e per quanto anche questo movimento abbia le sue criticità, ma ce l’abbiamo con il fatto che un qualsiasi valore possa arrivare a giustificare l’eliminazione sistematica della vita umana. A fare la differenza è proprio la prospettiva secondo cui consideri la vita umana: il processo di de-umanizzazione che precede il fanatismo, anzi che ne è il terreno di coltura, che si può annidare in qualsiasi movimento.
Brescia si legge – L’alternanza dei punti di vista e degli stili tra i due autori, che danno voce ai due personaggi principali (un padre ed un figlio), è uno dei tratti più interessanti e coinvolgenti del romanzo. Giovanni è l’anziano padre vedovo ed ex ribelle impegnato a godersi (seppur nei limiti consentiti dalla legge) gli ultimi mesi di vita rimanendo fedele alla rivoluzione per cui si è battuto da giovane fino al punto da accettare e giustificare la sua imminente soppressione. Stefano è invece il figlio responsabile, l’uomo uovo prodotto di questo ordine, che nel corso del romanzo metterà però in discussione il proprio punto di vista.
Com’è stato scrivere un romanzo a quattro mani?
Giovanni Peli – Tutti tutti siamo consapevoli di avere approcci molto diversi alla letteratura e per questo non abbiamo voluto creare un vero e proprio romanzo a quattro mani preferendo lasciare che ciascuno si esprimesse alla sua maniera. Ci siamo quindi divisi i ruoli in tutti i modi possibili (due personaggi protagonisti di capitoli alternati, due punti di vista, due stili): pur dando ovviamente un’unità al romanzo (che in un certo senso non è altro che un dialogo tra questi due personaggi, ndr) non abbiamo voluto amalgamarci, ed abbiamo tenuto i contrasti. Credo che rispetto a tanta letteratura omologata questo possa rappresentare anche un elemento di novità.
Detto questo, non nego di essere stato influenzato da lui anche nel mio stile… ma alla fine direi soprattutto che è stata una cosa efficace, tanto che vorrei rifarla. Anche se si sa che il secondo “disco” è più difficile del primo, spero collaboreremo ancora: abbiamo già valutato due idee, senza fretta, perché bisogna far emergere un’idea credibile.
Stefano Tevini – Il soggetto iniziale è di Giovanni: nasce dalla sua poesia posta all’inizio del libro. Io e Giovanni avevamo avuto già in passato l’idea di scrivere qualcosa insieme, era una cosa che avevamo in mente da tempo di fare, ma devo dire che Giovanni ha trovato veramente un ottimo incastro perché sa che io – diversamente da lui – mi occupo prevalentemente di narrativa fantastica e distopica.
Scrivere un libro a quattro mani pensavamo sarebbe stato un bagno di sangue: io e Giovanni siamo amici umanamente parlando, ma artisticamente e letterariamente siamo due poli opposti (anche se ci siamo sempre stimati), Invece è filata veramente liscia: non abbiamo avuto grosse divergenze, anzi la discussione più ampia è stata sulle pizzerie in cui incontrarci… Per il resto ci siamo divisi gli spazi e siamo riusciti ad andare avanti senza mescolare quello che non andava mescolato. Questo ci ha permesso di preservare due stili profondamente diversi, che sarebbe difficile far amalgamare in uno stesso capitolo: pur in un’opera che ha una sua unitarietà siamo, crediamo di essere riusciti a raccontare bene una storia senza mescolare la maionese con il cioccolato.
Brescia Si Legge – Anche se la vicenda ha un sapore universale, le vicende si svolgono nella Brescia del futuro. Anche se la città fa più che altro parte dello sfondo, al punto tale che il romanzo avrebbe potuto essere ambientato anche in un altro luogo, alcuni luoghi sono riconoscibili e talvolta sono esplicitamente citati.
Per quale motivo avete deciso di ambientare questo romanzo a Brescia?
Giovanni Peli – La scelta dell’ambientazione credo sia frutto dei percorsi non sempre lineari che l’artista fa… lo dico anche provocatoriamente: leggo spesso libri scritti da persone di altre parti del mondo, che si rifanno con nonchalance ai posti in cui vivono o che hanno visto. Per lo stesso motivo, siccome io sono nato qui, a Brescia, le cose le ambiento qui, anche se trattano di questioni di tipo universale (l’ho fatto utilizzando addirittura il dialetto, in passato). Mi sembra giusto parlare di cose che si conoscono e non lo dico né per provincialismo, né perché penso di poter raccontare una storia solo bresciana, anzi.
Ma uno dei miei artisti di culto, Fellini, diceva pressapoco così: se si racconta con passione ed autenticità cose viste e vissute di persona, si può scatenare nel lettore qualcosa che può attivare gli stessi analoghi sentimenti, ed è in questa comunicazione in fondo che è racchiuso il significato dell’l’arte. E’ un qualcosa che ha a che fare anche con il non detto, con il non esplicitato, ma che fa sì che la Rimini che Fellini racconta (che è proprio la Rimini vissuta da lui in quegli anni) possa essere tranquillamente vista a New York o a Hong Kong senza perdere in efficacia, anzi. A volte proprio andando in fondo ed ambientando con verità e umiltà si riesce ad arrivare a un linguaggio universale.
Stefano Tevini – Anche quando non gioca un ruolo diretto nel far proseguire la trama, io non prendo mai alla leggera le ambientazioni. Per come la vedo io è però inevitabile che, quando si crea un ambiente in cui situare una storia, si finisca per utilizzare dei modelli che si hanno in testa. A meno che non si abbia un motivo particolare per ambientare un racconto in un determinato luogo, è quindi secondo me inevitabile collocare – anche inconsciamente – le parti della vicenda all’interno di coordinate che senti tue.
In questo caso specifico, non avevo un motivo particolare per ambientare questo romanzo a Brescia ma allo stesso tempo NON avevo un motivo particolare per ambientarlo altrove. Quindi, per creare un ambiente narrativo, ho usato per una questione di familiarità il mio ambiente: per non perdere tempo a ricostruire un ambiente sconosciuto, e per non correre il rischio di farlo risultare artificioso.
Titolo: Sulla soglia
Autore: Giovanni Peli e Stefano Tevini
Editore: Calibano, 2020
Genere: Romanzo
Pagine: 188
Isbn: 9788894992762
Se vuoi acquistare questo libro online, fallo attraverso questo link: sosterrai il progetto Brescia si legge.